viaggio nell'Italia degli ultimi 50 anni

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  1. schmit
     
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    Una storia del Nord dal triangolo industriale fino alla crisi di oggi,
    un viaggio attraverso un secolo di consumi e lo sfascio del Parlamento
    La bella Italia tra miseria e nobiltà
    di DARIO OLIVERO


    SIGNORI SI NASCE
    Chiedetelo a chi c'era e se lo ricorda ancora cosa voleva dire vivere in una casa di ringhiera prima che diventasse un modo per far dire a un'agenzia immobiliare di oggi "in caratteristico stabile inizio secolo". Chiedete che cosa voleva dire avere un bagno solo a piano prima che diventasse "con sgabuzzino esterno".

    Chiedetevi perché chi c'era compra più pane di quanto serva ancora oggi che costa tre euro al chilo. Chiedete che cos'era il pane nero prima che diventasse "integrale". Chiedetevi perché gli operai le chiamiamo tute blu e che cosa voleva dire per un travet piemontese far fuori gran parte dello stipendio per i vestiti per differenziarsi da quelle tute blu.

    Chiedete a chi c'era di ricordare la prima volta che ha visto arrivare gli americani e poi subito dopo tutti i loro prodotti luccicanti. Chiedete che cosa è stato il primo frigorifero in casa, la prima lavatrice, per non parlare della lavastoviglie. E poi chiedetevi come siamo riusciti a uscire da quella miseria. Da unità, guerra, dopoguerra, guerra e dopoguerra ancora. Emanuela Scarpellini ha scritto L'Italia dei consumi (Laterza, 24 euro), una storia sociale di come gli italiani siano riusciti a uscire dalla sussistenza per arrivare al benessere e approdare al turboconsumismo degli outlet e dei centri commerciali dei nostri giorni.

    Dall'importanza del cibo che si portava via gran parte del reddito, grande indicatore di una famiglia non ancora fuori dalla soglie della povertà, a tutto il resto, indicatore di una ricerca di distinzione sociale. Figure sociali che nascono, si aggregano, si disperdono e smarriscono descritte attraverso uno studio impressionante sulle statistiche di ciò che entrava nelle loro case.

    CHI SI FERMA E' PERDUTO
    Anno 1962. In Italia succedono due cose. Soprattutto due. Il 16 giugno il consiglio dei ministri decide la nazionalizzazione dell'energia elettrica, nasce l'Enel. Il 27 ottobre precipita in provincia di Pavia l'aereo sul quale viaggiava il presidente dell'Eni Enrico Mattei. Secondo Giuseppe Berta con questi due episodi finisce il miracolo economico italiano e incominciano gli anni opachi. Finita l'epopea irripetibile di Adriano Olivetti, verso la fine e ormai spenta la monarchia assoluta ma allo stesso tempo poco dinamica di Valletta alla Fiat, ridimensionate le grandi industrie milanesi, ormai lontani i ricordi di quell'imprenditoria fatta di lavoro e basta descritta da Piovene nel suo Viaggio in Italia di pochi anni prima, decapitata la nuova, aggressiva (e discutibile) Eni dell'impresa di Stato che guida l'economia usando politici e politica. Eppure c'era stato tutto questo: esperienze diversissime tra loro ma che avevano trovato un laboratorio comune in un luogo che per ragioni geografiche chiamiamo erroneamente con lo stesso nome. E infatti il libro di Berta si intitola così: Nord. Sottotitolo: Dal triangolo industriale alla megalopoli padana, 1950-2000 (Mondadori, 18 euro).

    Altri esperimenti nasceranno, la deindustrializzazione e l'avanzata del terziario, il fenomeno nordest, la delocalizzazione, la finanziarizzazione dell'impresa, i terremoti politici nati da un deficit di rappresentanza che in questi ultimi anni ha trovato un interlocutore in Silvio Berlusconi. La domanda che rimane senza una risposta univoca ma che si illumina in qualche modo attraversando mezzo secolo di storia economica e politica di questo paese è: che cos'è il Nord? E' questa, prima che una questione di serbatoio elettorale, la vera questione settentrionale.

    GLI ONOREVOLI
    Si dice che il Parlamento italiano sia poco produttivo. Che faccia poche leggi. Nella legislatura in corso, con il problema della maggioranza risicata in Senato, i disegni di legge approvati sono stati meno dell'uno per cento. Nelle due precedenti, il 7,3 contro il 10 della Gran Bretagna, il 50 della Germania e addirittura l'86 della sempre più invidiata Spagna. Prima che qualcuno inneschi la miccia dell'antipolitica e gridi alla casta, un'altra premessa: è un bene che il Parlamento produca così poco. Altrimenti ci si sarebbe potuti trovare con provvedimenti per introdurre la patente a punti ai pizzaioli, valorizzare il tortello di zucca, il pizzocchero della Valtellina, cure termali gratis per tutti gli ultrasessantenni, vantaggi nei concorsi pubblici per chi si sia distinto nell'attività sportiva, multe per chi pratica o assiste al bunjee jumping. E così via.

    E' uno dei tanti paradossi contenuti nel libro Sparlamento (ChiareLettere, 12,60 euro, prefazione di Dario Fo e Franca Rame) di Carmelo Lopapa, giornalista di Repubblica che si è fatto le ossa tra i tatticismi assembleari e la viscosità del potere dell'Assemblea regionale siciliana e che ha ritrovato in grande e con la stessa fantasia lo stesso esprit des lois a Montecitorio. Nel libro c'è di tutto, dai festini stile basso impero all'odore di sacrestia, dai difensori dei valori della famiglia ai plurisposati (quasi sempre coincidono), dai tengo famiglia e parenti di parenti ai massoni, dai voltagabbana a quei poveri cristi che cercano di ricordarsi dove si trovano, perché si trovano lì e se lo ripetono ogni giorno per non mollare tutto disgustati.

    (3 aprile 2008) La Repubblica
     
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  2. schmit
     
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    Questa settimana passata ho visto molti visitatori su questo b3d, peccato che nessuno abbia aggiunto nulla!
     
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  3. schmit
     
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    una delle mie cantanti preferite di altri tempi era Iva Zanicchi e questa era una delle canzoni preferite, il perche' è facile intuirlo:



     
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  4. Il Federalista
     
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    Il caso Tortora:

    18 maggio 2008 - ore 00:30

    Applausi e sputi, ovvero dei diritti e delle pene di Enzo Tortora a vent'anni dalla morte di Enzo Tortora
    Erano le quattro e un quarto del mattino quando, 25 anni fa, alcuni carabinieri in borghese bussarono alla porta di una camera dell’Hotel Plaza di Roma. Controllarono gli armadi, rovistarono in una valigia, sequestrarono un’agenda telefonica, ruppero un salvadanaio a forma di porcellino ed arrestarono l’ospite di quella stanza: si chiamava Enzo Tortora ed era uno dei volti tv più noti di quegli anni, il presentatore di Portobello. In questi giorni, nel ventennale della morte del giornalista e presentatore genovese un altro giornalista genovese, Vittorio Pezzuto, una vita politica spesa nei Radicali, ripercorre quei giorni che segnarono il debutto del giustizialismo italiano, pure di quello giornalistico, dei cronisti che vanno a braccetto con le Procure per inseguire lo scoop della vita (sulla pelle degli altri). Per questo “Applausi e sputi” oltre a essere l’antinomia di due vite, quelle di Tortora, spese tra l’altare della notorietà e la polvere di accuse infondate (uscite dalla bocca di pentiti), è anche un ritratto storico del buono e del cattivo giornalismo, ammesso che si possa aggettivare un mestieraccio che ha che fare con le notizie e le opinioni. Vent’anni dopo, nel 2008 dello scontro tra Giuseppe D’Avanzo (La Repubblica) e Marco Travaglio sui i fatti che non sempre sono la verità, sulle intercettazioni quotidiane che spiano le vite degli altri, nella penombra della biografia di un uomo si intravede, sempre lui, il giornalismo. Il cronista del Tempo, Alfredo Passarelli, nel raccontare il processo, scriveva di Tortora: “La sua arringa è quasi un capolavoro, certamente a effetto, ma non ribatte con dati sostanziali alle testimonianze, ai riscontri, ai dati processuali”. Luisa Forti, per il Secolo XIX, annotava: “Modulando la voce su tutti i toni, ossequioso e al tempo stesso sdegnato, osservando pause a effetto soprattutto dopo i due battimani e i ‘bravo!’ provenienti dai gabbioni dei camorristi traditi da Melluso (ndr, il pentito che lo accusava), Tortora si butta appassionatamente nell’arringa. Il presentatore sta urlando, gli occhi sono abilmente lucidi”. Paolo Gambescia, sul Messaggero, notava invece che “Tortora non può pensare di aver vinto perché non è riuscito a dare una spiegazione convincente all’interrogativo principale che da sempre lo insegue: perché i pentiti dovrebbero avercela con lui?”. Il libro, mentre fotografa la tragedia di un uomo famoso & innocente, sbattuto in carcere dalla sera alla mattina, ci rimanda anche alcuni esempi di lucidità giornalistica: è il caso di Giorgio Bocca e di Vittorio Feltri. Il primo, su Repubblica, osserva: “Un processo basato su un’istruttoria inesistente e tutto affidato alle confessioni dei pentiti non poteva in alcun modo mandare assolto Tortora. Lui assolto, sarebbe crollato l’intero castello dell’accusa, come non ha esitato a dire la pubblica accusa. Giuristi, politici e altri di autorevole e prudente opinione dicono che per esprimerla attendono il dispositivo della sentenza. Ma la sentenza non può inventare ciò che è rimasto assente nel processo, non può fabbricare quei riscontri oggettivi che nel processo non si sono visti”. Vittorio Feltri, all’epoca al Corriere della Sera, scrive: “Ho visto giornalisti che si sbranavano e io mi sono trovato nell’arena. Ero arrivato a Napoli (sede del processo, ndr), diciamo agnostico e per la mia riluttanza a sposare la tesi colpevolista sono stato bollato innocentista, come fosse un’infamia. E deriso. La corporazione voleva a larga maggioranza la condanna di Tortora, neanche si trattasse di una conquista per la categoria. E se tentavo di far presente che non c’erano prove, ero travolto: i pentiti sono testimoni come gli altri e lui deve essere incastrato. Ma perché tanto accanimento? Ho avuto l’impressione di uno scoppio di irrazionalità, di una specie di tifo cieco analogo a quello negli stadi, alimentato per giunta dall’antipatia dell’imputato”. Un italiano colpevole soltanto di innocenza.

    di Massimiliano Lenzi "il foglio"

    Perche' tanto accanimento si chiede Massimiliano Lenzi?,perche' gli uomini non sopportano che ce ne siano alcuni migliori di loro e Enzo Tortora era uno di questi. Perche' qualcosa cambi, l'uomo dovrebbe cominciare a conoscersi e a fare il mea culpa, cosa che negli spacchiosi e nei tronfi, non è facile fare.
     
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  5. armida 3
     
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    Da quel momento comincio' un crescendo che tutt'ora persiste!
     
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  6. schmit
     
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    la lunga storia del partito comunista sino ai giorni nostri, chi sa farne una radiocronaca passando dalle cose piu' importanti?
     
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    laureata
    letizia schmit

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    Nessuno vero?il pc non si tocca vero?ma siete tutti scontenti...ma una parola non la sapete dire...ma che bel popolo di Italiani rammolliti!!!
     
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6 replies since 3/4/2008, 14:51   301 views
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