Tradizioni baresi tra arte, sapori e folclore

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stellina_29
TOPIC_ICON1  view post Posted on 5/3/2008, 20:14




Bari – Una riscoperta delle tradizioni baresi nelle loro variegate manifestazioni è stato l’argomento al centro di un incontro svoltosi venerdì 11 novembre presso la sala del Fortino S. Antonio a Bari organizzato dal Museo Civico Storico. Riscoprire le tradizioni baresi, soprattutto per il prevalente pubblico giovanile, su tre versanti, diversi tra loro e complementari: la storia di Bari attraverso i suoi monumenti, i canti popolari e il folklore e la cucina tipica. Tre illustri relatori, il prof. Ernesto Bosna, docente dell'Università degli Studi di Bari, Vito Signorile, noto attore e regista del Teatro Abeliano e Vincenzo Rizzi, giornalista curatore di una rubrica settimanale sulla ristorazione in Puglia sulle pagine del “Corriere del Mezzogiorno”, hanno saputo allietare l’incontro in maniera gradevole suscitando l’interesse del pubblico.

Il primo intervento è stato quello del prof. Bosna, il quale, avvalendosi di una serie di diapositive ha proposto una passeggiata virtuale tra i palazzi e i monumenti di Bari. L’attenzione è stata rivolta principalmente alla rinascita di Bari tra la fine del Settecento e gli albori dell’Ottocento con l’ascesa sul trono del regno di Napoli prima di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat. Il prof. Bosna ha mostrato un’ampia serie di mappe, dipinti e fotografie d’epoca per la sua ricostruzione. Il risveglio di Bari, l’ambizione di ritornare ad essere il centro principale della Puglia, passò attraverso il rinnovamento edilizio. Era necessario uscire dalle mura della città antica, che furono in parte abbattute, con la nascita della parte nuova della città voluta dal Murat che si sarebbe sviluppata lungo due direttrici: il corso Ferdinandeo (l’attuale corso Vittorio Emanuele) e i giardini Margherita (l’attuale corso Cavour). E’ stata una sorpresa vedere angoli di come era Bari e fare il confronto con quelli che sono oggi. Il prof. Bosna ha ricordato la costruzione del Teatro Piccinni, di Palazzo Fizzarotti, di Palazzo Diana (sede attualmente del TAR), del Palazzo dell’Intendenza (attuale palazzo Prefettura), della Chiesa di S. Ferdinando, del Palazzo della Camera di Commercio che dava direttamente sul mare, sino a giungere nel XX secolo al Teatro Petruzzelli, al Palazzo dell’Acquedotto, al Teatro Margherita, al Palazzo Ateneo, al Palazzo Mincuzzi, al Palazzo della Provincia, al Palazzo delle Poste. Bosna ha sottolineato come la nostra città spesso sia senza memoria, ricordando la demolizione del Palazzo della Gazzetta del Mezzogiorno che si trovava in piazza Moro e della stazione radio-telegrafica “Marconi”, ubicata nei pressi del faro, che fu usata dallo scienziato per il primo esperimento di trasmissione e comunicazione senza fili tra le due sponde dell’Adriatico.
Vito Signorile ha proposto l’ascolto di alcuni pezzi di repertorio da lui registrati nel borgo antico una quarantina di anni or sono, preziosa testimonianza delle tradizioni orali popolari che oramai stanno scomparendo: canti e giochi dei bambini e vecchie nenie cantate da anziani. Molti di questi brani erano per lo più sconosciuti al pubblico giovanile che li ha accolti con ilarità. Si tratta di una memoria che andrebbe conservata e bisogna dare atto all’impegno da sempre profuso in tal senso a Signorile. L’attore e regista ha poi deliziato gli astanti recitando una poesia in dialetto barese di F.S. Abbrescia dedicata al Natale e alla Madonna e, con l’ausilio della chitarra, ha cantato una serenata d’amore risalente al periodo a cavallo tra il Seicento e il Settecento rivolta ad una ragazza dagli occhi neri (la “Uecchi nera”).
A concludere in bellezza, suscitando anche un po’ di acquolina in bocca, è stato Vincenzo Rizzi con la sua relazione sulla cucina tipica barese. Rizzi ha sottolineato la scelta coraggiosa di inserire la gastronomia nel programma dell’incontro: oramai la cucina è da ritenersi a tutti gli effetti un fenomeno culturale. Non esiste una cucina semplice, la cucina è sempre artificio e contaminazione; anche piatti in apparenza semplici come il “pancotto” o la “minestra del pezzente” sono in realtà complessi e presentano una loro elaborazione nel sapiente uso e riciclo degli ingredienti. Rizzi ha illustrato la storia di alcuni piatti tipici della cucina barese con la ricostruzione del banchetto tenuto a Napoli per le nozze di Bona Sforza nel 1517. Si trattò di un pranzo con 1450 portate: la cucina, anche dal punto di vista quantitativo, nelle corti rinascimentali era molto importante e simbolo si prestigio. La ricostruzione è stata fatta ricorrendo al primo ricettario, se può passare il termine, di cucina barese scritto da Cristiano Effrem nel 1504, un apprezzato cuoco innamorato di una damigella del seguito della regina Bona. Rizzi ha posto in evidenza la contaminazione di alcune ricette baresi con la cucina francese e anche il modo in cui la cucina barese finì per “contaminare” quella polacca grazie ai cuochi che seguirono Bona Sforza divenuta regina di Polonia. La gastronomia dell’epoca è anche una notevole fonte per la storia. Nei banchetti rinascimentali l’ordine delle portate era assai differente da quello attuale, c’era un servizio di credenza con piatti freddi a mo’ di antipasti ed un servizio di cucina con piatti caldi. Rizzi ha ricordato l’”insalata di erbe”, la “butarga” (uova di cefalo seccate al sole o al vento di origine sveva), il “bianco mangiare” (anch’esso di origine medievale, era un piatto delle mense dei ricchi composto da soli alimenti di colore bianco), gli strozzapreti con arrosto, i “pastrelli di carne” (una sorta di polpette in umido), le “nevole”, progenitrici delle più note “carteddate”. Ma qual’era la cucina della povera gente del Rinascimento? Anche in tale circostanza Rizzi ha fatto notare come la cucina povera non è mai semplice oppure ovvia, ma come spesso faccia degli accostamenti arditi come con la ricotta forte e i cavoli, oppure nell’”acquasale”, piatto semplice e complesso al contempo, o la “capriata” di fave, la “minestra del pezzente” preparata con avanzi di pasta, frattaglie e verdure, o ancora la “scapece” piatto già presente sulla mensa federciana


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