Dialetti Pugliesi

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stellina_29
TOPIC_ICON1  view post Posted on 22/2/2008, 02:22




La prima impressione che prova il turista in Puglia è quella di un paese nato dal mare.
E proprio dal mare sembrano nascere, vivere e morire le “voci pugliesi” che hanno scelto la madrelingua dialettale per raccontarci della propria terra, come quella del leccese Giuseppe De Dominicis (1869-1905): “De nanti, mare e mare! Fenca rria la ista ete nnu specchiu nnargentatu, pràcetu, sotu… A ffundu, comu sia ca lu celu allu mare stae mmescatu.”(“Di fronte, mare e mare! Fin dove arriva la vista è uno specchio d’argento, placido, fermo... come se in fondo il cielo stesse mescolato col mare”).

Questo estremo lembo d’Italia, ricco di tradizioni ancora vive e palpitanti, sede fissa di multiculturalità e plurilinguismo, si presenta anche linguisticamente tutt’altro che compatto. Sostanzialmente si può distinguere nel dialetto di questa regione un’area propriamente pugliese, esposta all’innovazione, cioè la costa (il Gargano, per esempio, presenta anche influenze abruzzesi), da una zona salentina più conservativa e chiusa. Questo perché gli antichi messapi, che abitavano la penisola salentina, conservarono a lungo una sorta di autonomia linguistica, tanto nei confronti dei greci che dei sanniti.

La distinzione tra Puglia e Salento è già riscontrabile nella fonetica.

Il dialetto pugliese tende a sonorizzare gli antichi gruppi latini “nt”, “nc”, “mp” in “nd”, “ng”, “mb” e la “s” in “z”, mentre il dialetto salentino li conserva intatti. Quindi un barese dirà: “candare” per “cantare”, “angora” per “ancora”, “tembo” per “tempo” e “penziero” per “pensiero”.

Un’altra particolarità fonetica, dovuta sempre all’influenza sannita, è stata la trasformazione dei gruppi “nd” e “ll” in “nn” e “dd”(così “quann” per “quando”, “cavadd” per “cavallo”). Questa caratteristica fonetica ha toccato però anche parte del Salento, visto che alcuni dialetti, per esempio, dicono “quannu” per “quando”.

I dialetti della zona pugliese, specialmente quelli dell’area barese, sono facilmente individuabili per la presenza dell”a” palatizzata in dittongo (così il latino “frater” (fratello) diviene “freutë”) e per il cosiddetto frangimento vocalico, cioè il mutamento della vocale “i” in “öi” o in “ei”, per cui “gaddöine” o “gaddeine” per “gallina”. Nei dialetti della penisola salentina, invece, sono assenti tutti questi turbamenti vocalici. Il sistema vocalico salentino mantiene la “a” e “e” aperte e chiuse e manca della metafonia (cambio vocalico) caratteristica del centro-sud. Per cui nell’area pugliese lo straniero sentirà: “misi” per “mese” e “chistu” per “questo”. Un altro tipico fenomeno vocalico, che contraddistingue il dialetto pugliese da quello salentino, è la pronuncia della “ë” in finale di parola, per cui avremo “casë” per “casa” e “portë” per “porta”, al contrario del salentino che pronuncia le vocali finali in maniera chiara.

Tra le lingue che hanno influenzato inoltre i dialetti pugliesi non dobbiamo dimenticare l’arabo, il francese e lo spagnolo.

Bastino alcuni esempi dal dialetto di Conversano (Bari). La parola araba “thian”(piatto di carne e patate cotto al fuoco) è rimasta nella parola “tied”, che significa pentola di terracotta; la parola spagnola “loco” (pazzo) è presente in “allucchenn”, infatti “n-on si allucchenn” vuol dire “non gridare come un pazzo”. E ancora: quando ci si arrabbia veramente, si dice “mo i-e abbusche” che significa “ora le prenderai”, ma ben pochi sanno che “abbusche” deriva dallo spagnolo “buscar” (prendere). Se, invece, si ha voglia di una buona birra, si dice “damm nu buat -d bir” che vuol dire appunto “dammi un barattolo di birra”, dove la parola “buat” (barattolo) deriva dal francese “boîte”.

Anche nel dialetto pugliese sembra dunque trovare conferma quanto saggiamente verseggiava la fasanese Teresa Schettini Ammirabile: “…ogni dialette ji chieine de veite... de storia, d’usanze e d’altre valoure” (... ogni dialetto è pieno di vita... di storia di usanze e di altri valori...).
 
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