Non guardare giù, privata

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.Urania
view post Posted on 30/12/2023, 18:52 by: .Urania
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Non guardare giù

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Non
furono settimane facili. Da quando avevo riaperto gli occhi, dall'istante stesso in cui mi avevano detto che ero rimasta sola, il mio unico desiderio era stato quello di richiuderli. Per sempre. E così era stato per diversi giorni. Sicuramente in molti se n'erano accorti infatti avevo ricevuto non pochi sguardi e mi era parso che nessuno mi lasciasse mai veramente sola. In quei giorni era stato difficile trovare un senso, trovare letteralmente la forza di continuare a vivere. D'altronde, che senso aveva? I miei genitori e mia sorella erano morti ed io non sapevo nemmeno come, quando e perché. E se prima queste domande irrisolte mi avevano resa apatica, allo stato attuale erano proprio quelle domande a motivarmi ad andare avanti. Io dovevo capire. Io dovevo sapere. Una rabbia enorme mi era montata dentro una mattina come un'altra. Improvvisamente avevo sentito l'urgenza di dare un senso a quei tre anni passati da incosciente in un letto di ospedale mentre il mondo era andato avanti. Ma la memoria continuava a non collaborare: sembrava uno scolapasta da cui erano fuoriusciti tantissimi pezzi del puzzle fino ad essere scaricati nel lavello senza troppe accortezze. E più mi sforzavo di ricordare quella maledetta missione, più mi sembravano solo sogni lontani e inafferrabili.

«Signorina, la cena.» La voce della solita infermiera che mi portava i pasti mi fece voltare. Le sorrisi appena per congedarla così lei uscì.

Non guardai nemmeno il vassoio, non avevo molta fame. Mi voltai dall'altra parte, gli occhi nuovamente fissi alla finestra al di là della quale stava iniziando a calare il sole. E fu allora che ci riprovai. Non era la prima volta che provavo ad alzarmi dal letto ma fino a quel momento ero sempre caduta malissimo. Il tonfo faceva sempre accorrere qualcuno e io dovevo pure scusarmi e promettere che me ne sarei stata ferma. Ma ero sveglia da quasi 3 settimane e mi sembrava di aver già sprecato troppo tempo della mia vita. Adesso, dovevo lasciare quell'ospedale: e non mi avrebbero di certo fatta tornare a casa se non avessi rimesso i piedi a terra.
Scansai quindi le coperte dalle gambe e mi misi a sedere sul lato sinistro, verso le finestre. E fin qui c'ero tranquillamente. Poi misi i piedi a terra e mi preparai a ricevere la scossa. Quando feci leva sulle braccia per sollevarmi e mettermi dritta, la solita fitta mi attraversò tutto il corpo, dall'alluce ai capelli. La ignorai. Mi raddrizzai, mettendomi in piedi e lasciando il bordo del letto come appoggio. Una lacrima mi rotolò lungo la guancia e mi accorsi così di aver iniziato a piangere. Forse era il dolore, forse anche un po' la speranza di poter tornare a camminare. Con gli occhi velati feci un passo; le gambe erano intorpidite, pesanti, livide e tremolanti ma non volevo dargliela vinta. Feci un altro passo. Sbattei le palpebre per liberarmi di tutte quelle lacrime e poter vedere dove stavo andando. Scelsi un obiettivo: la finestra. Volevo vedere fuori. Feci un altro passo. L'istinto mi diceva di fermarmi. Che potevo accovacciarmi un attimo e togliere quel peso alle gambe, alle caviglie. Ma io sapevo che non mi sarei più rialzata, che era una sensazione a cui non dovevo cedere. Guardai un attimo giù, i piedi nudi sul pavimento. Non guardare giù, mi dissi. Potevo farlo un altro passo. Anche un altro. La finestra era vicina, il dolore sarebbe passato.

«Abituatevi» sussurrai alle mie gambe, fasciate dai pantaloni di un pigiama bianco di cotone. «Questa cosa dobbiamo affrontarla» aggiunsi, facendo un altro passo ancora.

Il davanzale della finestra era a pochi metri da me. Iniziai ad allungare le braccia per poterlo afferrare appena possibile. Feci gli ultimi brevi e pesanti passi con la schiena curvata in avanti e le braccia distese verso la mia fonte di salvezza. E quando le dita toccarono la pietra fredda mi ancorai con tutta la mia forza e conclusi il mio pellegrinaggio sorreggendomi e tirando un respiro di sollievo.

Sbattei ancora le palpebre per liberare i miei occhi liquidi e poter guardare fuori il tramonto che adagiava la sua coperta sulla città.

Ce l'ho fatta.

Mi strinsi un po' in me stessa per il freddo che provavo ai piedi e alle mani.

Chissà in quale stagione siamo.

 
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