Ritidoma, Privata

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view post Posted on 8/8/2023, 16:34
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Salgo le scale di Villa dei Gigli. Apro le porte di ogni stanza. La cerco. Oltre i teli che ricoprono i mobili, comunicandomi abbandono, La cerco. Ma non La trovo. Torno verso le scale e le tempie dolgono.
È lì, a ridosso dei gradini, che scopro il tradimento, Thalia. Che due braccia mi impediscono di avventarmi su Grimilde e compiere la mia opera di devastazione.
Non so cosa avrei fatto se fossi riuscita a metterle le mani addosso. Non conosco i miei limiti, forse perché non ne ho, e adesso mi sfidi a fare la stessa cosa con te.
Che incosciente! Che stupida!
Se solo sapessi di cosa sono diventata capace… Se solo immaginassi quanto poco è rimasto della ragazza che credevi di conoscere e che riuscivi a far ragionare in un modo o nell’altro, con una buona dose di pazienza.
Sei cambiata anche tu, certo. Lo vedo nei tuoi occhi e nella fermezza con cui li incateni ai miei; nella presa con cui mi costringi a rimanere e con cui hai già stretto il mio polso, prima. Sostengo il tuo sguardo e non ti trovo. Non trovo l’amica con la quale ho condiviso i miei più grandi segreti; la stessa alla quale avrei affidato la mia vita. Al contrario, finisco per confrontarmi con la sua versione incrudelita.
Hai detto di esserti perdonata per ciò che sei stata costretta a fare. Io no. Non ci riesco. Vivo ogni giorno con la consapevolezza di meritare le pene di questa vita grama per il delitto di cui mi sono macchiata. Io soffro e mi pento per le mie colpe. Tu, invece, ci hai fatto pace e saresti disposta a farlo ancora.
Cosa sei diventata?

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«Non ne vale la pena» dico, mentre con la mano libera recupero la bacchetta e la ripongo tra i passanti dei pantaloni. Poi ti afferro per la gola, l’espressione marmorea. «Ma lasciami andare. Subito».
Se te lo stessi chiedendo, sì, potrei farti del male, Thalia. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre, ma non sono disposta a farmi soverchiare. C’è una profonda contraddizione nel modo in cui esisto. Sono attratta da ogni forma di autolesionismo, eppure non riesco a ignorare la spinta verso la superficie —quella che mi fa riemergere e che mi ricorda come, nonostante tutto, alla vita non so rinunciare. Così, se tu minacci di invadere la mia mente senza il mio consenso, aspettati che io usurpi il tuo corpo.
«Non costringermi» ti ammonisco. Attorno a noi, i rami degli alberi scricchiolano pericolosamente e la neve, oramai solida, crepita come pronta a spaccarsi. «Non costringermi a far finire il nostro rapporto nel peggior modo possibile».
Adesso so che sei tu. Il panno che mi ha allontanata dal presente e ha creato la sovrapposizione con Grimilde è caduto. Ti vedo. E non avrei mai pensato che potessi essere simile a lei. Non in questo modo. Non dopo quello che è stata capace di fare. Tu, che credevo mia alleata. Cosa ne è stato della donna la cui mente hai profanato? Te lo sei mai chiesta o l’hai lasciata indietro senza più curartene come fosse un inutile relitto?
Stringo la presa delle dita sul tuo collo. Non ho bisogno di strattonare il braccio per forzare il rilascio. Voglio che sia tu a farlo; che capisca quanto sia importante rispettare i confini. Che ti renda conto del pericolo che corri, adesso, a sfidare la Nieve che non conosci. Devi imparare daccapo, se starmi vicino è quello che vuoi, e il guinzaglio… Oh, il guinzaglio devi bruciarlo nel cazzo di fuoco della tua crudeltà!
just like a raft sailing a swollen river, but the river is inside of her
 
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view post Posted on 21/8/2023, 20:24
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Ho ragione, dunque. Ti tengo ancora il polso, mentre il mio sguardo non si rivolge ad altri che a te. Ci siamo solo tu ed io qui, Nieve, e non hai bisogno di mentire. Non a me.
Sapevi che non sarebbe successo: non mi puoi spaventare più di quanto io spaventi me stessa per i pensieri che ho avuto e continuo ad avere, per le azioni che compio e rifarei se necessario. Non mi terrorizza l’idea di te che mi minacci verbalmente; una parte di me spera che sia solo un modo come un altro, per te, di affrontare il lutto che ti ha privato di un punto fermo e non soltanto della magia.

Ti guardo e vorrei che trasparisse la compassione che provo, ma so che non la gradiresti; sei fatta così, orgogliosa e caparbia pur non essendo emotivamente integra. Ti lascio andare il polso, allora, o perlomeno la mia intenzione è quella finché le tue dita non si serrano - contro ogni possibile aspettativa - attorno al mio collo scoperto.
Mi hai presa in contropiede, te lo concedo, e il battito cardiaco che fa pulsare la vena che premi con veemenza ti darà contezza, se non altro, del danno fisico che stai per produrre. Potrei perfino svenire e allora come lo spiegheremmo?
Non rilascio la presa a mia volta, convinta che mantenere un appiglio al mondo materiale mi permetterà di confrontarmi con te - se non proprio alla pari - quanto meno a quattr’occhi.
«N-no-...» Non ti lascio vorrei dirti, ma la tua forza mi impedisce di rilasciare quel poco fiato che servirebbe e perfino di deglutire. Nel delirio che l’assenza di ossigeno piano piano sta alimentando, penso che aumenterai la tua forza fino a spezzarmi, fraintendendo quella sillaba e pensando - ancora - che voglia prevaricarti. Eppure non riesco a pensare di potertela dare vinta, non assecondando i tuoi capricci di bambina ferita.
Le mie dita si muovono rigidamente risalendo il polso e afferrandoti il palmo prima e provando ad allentare la presa delle dita poi. Tutto è inutile, tale è la convinzione del gesto che stai compiendo. Ti sento rafforzare la presa e confermare che, in questo gioco, sei tu a guidare la strategia e l’esito della partita.
Per un momento, fugace e assurdo, penso che dovrei essere ben più che a corto d’aria e nonostante la presa ferrea che mi imponi non lo sono. Potrei afferrare la bacchetta nella tasca del cappotto, ma mi vedresti afferrare l’impugnatura del legnetto di salice per farti del male e allora, Nieve, avremmo davvero toccato il fondo.

Ti guardo e sento le lacrime premere agli angoli degli occhi già arrossati per la costrizione fisica alla quale mi sottoponi. Non ti credevo capace di tanta rabbia, ma avrei dovuto aspettarmelo dopo quanto mi hai raccontato e mi è stato riferito. Eri una bambina vissuta nelle lande islandesi, cresciuta dai lupi - quasi - e sei tornata a quello stadio mentale in un baleno. Gli anni di civiltà ed educazione li hai gettati via, proprio come hai fatto con la nostra amicizia, e forse anche per questo non riesco a provare rabbia per ciò che sei diventata. Credo di sapere, in fondo, che questa sia sempre stata una parte di te che, consapevolmente, mi hai celato.
Non ho intenzione di piegarmi al tuo volere, Nieve, perché farebbe bene soltanto al demone che ti porti dentro. Alimentare il mostro non mi renderà una persona migliore e qualsiasi cosa decideremo di fare, ora, siamo persone diverse da quelle che eravamo. Forse un giorno capirai le mie ragioni, capirai quanto profondamente sia disposta ad amare ed amarti e solo allora saprai quanto mi è costato compiere il passo che sto per fare. So già che mi pentirò di questo tentativo, sia che vada a buon fine oppure no, ma sono stanca dei tuoi giochi. Non sono mai stata una persona fisica né possiedo i giusti rudimenti della lotta, ma con un po’ di fortuna il tuo peso - minore del mio - mi verrà in aiuto. Ti afferro allora il colletto del maglione con la mano libera, come se volessi avvicinarmi a te ancora di più e forse questo ti farà irrigidire, perché da me ti aspetteresti accondiscenza in circostanze migliori di questa. Eppure, Nieve, che cos’ho da perdere? Tu ed io non ci siamo mai raccontate delle bugie: se tu non ci sei e scegli di non esserci è una tua scelta, non mia. L’unica decisione che posso prendere e la responsabilità che voglio assumermi è quella di aver provato a salvarti, non come gesto di redenzione per me, ma per l’amore che provo verso di te.

«N-no..» boccheggio, questa volta più decisa di prima. E’ un rifiuto alla tua forza, ma capirai che non sono disposta a piegarmi ai tuoi capricci quando opporrò fisicamente resistenza alla tua morsa d’acciaio su di me, provando a girarmi per sfuggirti e, al contempo, infilando un piede tra i tuoi.
Ricordo le nostre lotte nel letto che abbiamo condiviso durante le nostre vacanze italiane: le tue risate, i cuscini di piume sventrati per la forza dei colpi che ci infliggevamo a vicenda e i momenti di silenzio quando, alla fine, eravamo senza fiato.
Quella di adesso, invece, è una lotta diversa - più simile ad un bisticcio esagerato tra sorelle invidiose l’una dell’altra. Ogni mezzo è lecito, Nieve, se serve a farti capire che non sono più caratterialmente flessibile come un tempo rispetto alle tue richieste.
Quasi non ti sei accorta del movimento della gamba, forse l’hai ritenuto un mio sbilanciamento del tutto naturale, ma la verità è che quando ti colpisco l’interno del ginocchio col mio e con tutta la forza che ho rimani sorpresa e lo sei ancor di più quando, quasi nello stesso momento, riesco ad approfittare della tua stupefazione per allontare il tuo braccio - e le tue dita - dal mio collo.
La colluttazione dura qualche secondo, ma quando ti lascio cadere nella neve ti stringo ancora il maglione con l’altra mano e quasi ti accompagno a terra.
Se nei tuoi occhi è il fuoco dell’ira cieca che vedo, nei miei vedrai la placida minaccia dell’acqua: cheta e inerme può trasformarsi in un flusso assassino che non lascia scampo. Il fuoco puoi spegnerlo, ma l’acqua non puoi fermarla.

Quando ti lascio andare, finalmente, il contrasto del tuo incarnato e dei tuoi capelli sul manto niveo che ti circonda mi sconvolge e mi fa fare un passo indietro. Non voglio lottare con te Nieve, te lo sto dicendo forte e chiaro, ma tu non mi ascolti.
«Cresci, Nieve…» ansimo, facendo un altro passo ancora per allontanarmi da te. Mi passo le dita sul collo e sento ancora la tua presenza su di me, come se mi avessi marchiata a fuoco. Deglutire mi fa male e la mia voce è arrochita per lo sforzo, ma non mi esento dal dirti come la penso. Non l’ho mai fatto e non comincerò adesso a privarti di un simile piacere.
«La vita non è una favola e tu sei l’artefice del tuo destino.»
Sembra stupido, detto da me che inseguo una chimera e una profezia da anni, ma lo penso davvero.
«Vuoi odiarmi perché cerco di sopravvivere a modo mio? Fallo. Vuoi privarmi della tua amicizia perché sono un mostro come Grimilde? FALLO!» vorrei aver urlato, ma mi rendo conto che sia impossibile.
Ansimo e non trovo pace, ma so anche che non me la darai vinta andando via furente con te stessa - e con me - per aver ceduto, solo un momento, di fronte all’affetto che in qualche modo ancora ci lega. Non abbiamo mai litigato, Nieve, e questa situazione mi sta devastando cuore e mente in modi che non sarei riuscita ad immaginare. Tra i ricordi migliori e quelli meno belli, adesso, si è insinuato anche questo. Non so come ci scenderemo a patti, se mai lo faremo addirittura, ma non ce la faccio più.
Ti sto istigando, lo so perfettamente, ma non ho la forza fisica di oppormi a te, non più di quanta ne avessi prima. Riconosco in te l’animale spaventato ed arrabbiato insieme che, per aver salva la vita, è disposto a morire pur di fuggire.
«Se vuoi picchiarmi per sentirti meglio, fallo, ma non risolverai mai i tuoi problemi. Non così.»


© Thalia | harrypotter.it

 
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view post Posted on 21/8/2023, 21:18
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Il potere è inebriante. Lo comprendo adesso che le mie dita circondano il tuo collo e ti sento ansimare. Sei mia. Ti ho sotto il mio controllo e non c’è nulla che tu possa fare per cambiare le cose. La tua negazione è debole, tu sei debole. Hai invaso il mio territorio —la foresta e i suoi intricati sentieri come ingarbugliate sono le trame dei miei capelli— e ti sei persa.
Vuoi salvarmi, non è così? In qualche modo, la tua mente non riesce a fare a meno di guardarmi e rifiutare l’idea del cambiamento. Ed è questo il problema, tuo e di tutti quelli che provengono dal passato e pretendono di riportarmi indietro. Invocate il mio bene in nome di un trascorso che è stato ma non è, e ignorate la possibilità di avvicinare —di conoscere— la persona che sono diventata. Non importa che io sia pronta a respingervi. Voi mi guardate senza vedermi.
Sono piuttosto forte per essere un fantasma, non trovi? Ti trafiggo con gli occhi di ghiaccio. Ti porto rancore, sì. Per le cose che hai detto nell’ufficio dei Caposcuola, per sentirti in pace con te stessa dopo aver oltraggiato la mente di una persona, per esserti comportata come chiunque altro senza capire che avresti dovuto accettare questa me e non lo spettro sepolto di una persona ferita a morte. Ecco perché, senza avvedermene, serro la presa più di quanto avrei voluto.
La vena sotto la pelle pulsa. Sento il battito del tuo cuore accelerare. Quante cose vuole dirmi! Probabilmente, più di quelle che sarai in grado di trasmettermi a parole. Il corpo, del resto, è più sincero delle intenzioni. Non riesce a nascondersi neppure quando lo desidererebbe, schiavo delle percezioni e degli affetti. Il mio, ad esempio, trattiene a stento i brividi dovuti a questa vicinanza, voluta e temuta insieme.

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Mi ritrovo stesa sul pavimento prima di riuscire a comprendere le tue intenzioni. Ricordo solo di aver allentato la presa, graffiando la pelle del tuo collo nella caduta. Da quaggiù, ti osservo con occhi appena sbarrati: non pensavo che avresti risposto alla provocazione, non fisicamente. Ed è forse in questo momento che realizzo di non conoscerti più, di avere a mia volta di fronte una persona nuova della quale non so nulla al di là di un misfatto.
Schiudo le labbra, intantoché ti studio e sento le tue parole. Le sento, ma non sto ascoltando ed è qui che sta il problema. Butto il capo all’indietro, reggendomi sui gomiti al pavimento nevoso. Mi scappa una risata frustrata, divertita, sarcastica. Di luoghi comuni ne ho sentiti tanti da quando è morta Roth, tutti snocciolati con il fine di farmi reagire. “Sei tu l’artefice del tuo destino” è un classico. Come se io potessi controllare l’assenza di emozioni che impoverisce la mia vita o la sensazione che un enorme vuoto stazioni nel mio petto fino a farmi mancare il respiro. Come se bastasse alzarsi dal letto e dire “oggi mi impegno a provare qualcosa”, chiudere forte gli occhi e far sbucare la punta della lingua dalle labbra per mostrare concentrazione.
«Vaffanculo, Thalia» ti rispondo mentre mi alzo. Poso gli occhi sul tuo volto, inspiegabilmente calma adesso che mi hai rotto il cazzo come tutti gli altri. «Non ti picchierò perché sarebbe come stupeficiare su un gruppo di matricole. Quanto al resto, non ci sono problemi. Ti sei già abbassata agli stessi livelli di Grimilde. Non sarà difficile disprezzarti come disprezzo lei, visto che ne condividi i valori».
Ti guardo un’ultima volta, severa. Mi sto congedando di nuovo, come ho già fatto a settembre. Stavolta, però, le mie ragioni sono diverse. Dipendono da quello che hai detto e dal parallelismo con il mio vissuto, dalla tua incapacità di prendere atto che io esisto e che non sono la copia temporanea di me stessa.
«Sei la delusione che non mi aspettavo.»

Ti lascio così. Poi sparisco nel buio della Foresta Proibita, dove la bruma odora di pini e di magie pronte a schiudersi.
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view post Posted on 1/9/2023, 17:35
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I polpastrelli sfiorano un punto sensibile del collo, dove la pelle brucia e pizzica da morire. Nel tuo disperato tentativo di guadagnarti la libertà, mi rendo conto, mi hai graffiato ed è naturale pensare che non abbiamo mai raggiunto livelli tanto bassi - moralmente e fisicamente - nel farci del male a vicenda.
Quello di settembre, a confronto, è stato un tranquillo pomeriggio di cortesie velate, un momento che ha solamente predisposto quanto stiamo vivendo proprio in questo istante. Sento un vuoto dentro, adesso, che non credevo avrei mai provato nei tuoi confronti: ti sento ridere e non è più il suono limpido che amavo ascoltare, poiché è sintomo di freddezza e distacco, come se invece di aver condiviso attimi di gioia e complicità insieme a me, tu fossi sempre stata solo la mia nemesi. Non ti riconosco, non so chi sei e quindi non so come aggiustarti. Sì, nel mio cervello è questa la parola che balena all’improvviso, come se fossi un orologio rotto. Non so chi sei, Nieve, ma capisco che non posso addomesticarti di nuovo al vivere comune. Non dovrei volerlo, dovrei accettarti per ciò che sei diventata, ma non ce la faccio: il ricordo che ho di te è così grande e forte da spazzare via ogni novità e l’accettazione della diversità che ora ti caratterizza rispetto al prima - un momento nel tempo che non riesco a definire - non mi riesce affatto.
Grimilde ha compiuto un gesto per il quale non c’è assoluzione o soluzione. Ora sei questa versione di te e non sono in grado di starti accanto. La realizzazione mi mozza il respiro e allo stesso tempo il tuo insulto mi colpisce con la forza di uno schiaffo potente in pieno volto. Serro le palpebre mentre mi parli e ti sembrerà che accetti le tue parole, il tuo giudizio e la delusione che provi. Non hai idea di quanto io sia delusa da me stessa, non solo per come mi sono comportata con te, qui ed ora, ma per la persona che sono diventata.
Non ti ho detto forse che rifarei tutto daccapo se servisse? Non mentivo, ma non ho mai detto di essere fiera di chi sono diventata. La Nieve di due anni fa avrebbe capito che cosa intendevo senza dover dire tutto chiaramente e a voce alta. Per questo, oltre a tutte le altre ragioni, mi convinco che non c’è soluzione per noi, che non esiste un lieto fine - proprio come ti ho detto - e la voglia di dimostrarti che ti sbagli sul mio conto è tanta, ma non abbastanza da soverchiare l’altro pensiero che mi trafigge al pari di un pugnale: non devo - e non voglio - dimostrarti proprio nulla né devo giustificarmi. Se non capisci, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme e ci siamo confidate, che per me la mia famiglia è importante come l’aria che respiro, allora è giusto prendere strade separate. Forse un giorno proverai lo smarrimento che ho provato nel sapere di avere il peso del mondo - il mio mondo - sulle spalle e probabilmente accetterai che non ho avuto poi molta scelta. Se l’avevo, non sapevo di avere alternative.
Quando riapro gli occhi ti vedo davanti a me, mi guardi e capisco che è finita, è finita davvero questa volta. Non riesco a dire nulla, ma ricambio il tuo sguardo con la stessa intensa severità. Non è solo rabbia quella che monta a seguito delle tue velenose parole e vorrei non dare peso alle tue aspettative disilluse su di me. Eppure, quella è la goccia che fa traboccare il vaso e la mia pazienza, come un ultima stilla d’acqua esposta al sole, evapora. Ti lascio superarmi, dandoti l’illusione di essere vincitrice di uno scontro che non è mai stato alla pari.
«Sei una vigliacca.»
Lo dico quando già una manciata di passi ti separano da me e vorrei che mi sentissi, ma probabilmente ti sei chiusa nel tuo stupido mondo, ammantata del vittimismo che ti si è incollato addosso al pari di un abito fradicio di pioggia. Quando mi volto per seguire la tua figura sei già lontana, ma abbastanza vicina per udire il mio ultimo messaggio per te.
«Odio il tempo che ho sprecato con te!» grido turbando la quiete del bosco e adesso non c’è più motivo per trattenere le lacrime; c’è troppa amarezza e rabbia per fingere che non me ne importi. Troppo di quanto sono è dipeso da te, dalla tua presenza e dall’affetto pensavo provassi nei miei confronti. Sono stanca di darti tanto potere.
«Ti odio!»
Potrei continuare a gridarlo se servisse a farti tornare indietro: preferirei un duello al silenzio di tomba che mi avvolge, dopo che hai varcato la soglia della Foresta Proibita; potrei segnalarti al Preside per il solo fatto di averti trovata a girovagare qui appena prima del coprifuoco, ma non te ne importerebbe. Il solo fatto di possedere Villa dei Gigli ti ha resa supponente e arrogante come non sei mai stata e odio Astaroth Morgenstern per averti iniziato a questa vita. Quale che fosse la natura del vostro rapporto, ora so che era malato; ora me ne rendo conto e mi pento di non essere intervenuta prima nell’aprirti gli occhi. Eppure, l’unica che avrebbe bisogno di rendersene conto sei tu e non sei disposta a farlo.
Afferro con rabbia l’involto insaguinato e prendo la direzione opposta alla tua. Le mie orme e le tue indicano che la nostra è una decisione senza possibilità di redenzione o ritorno, come se non avessimo speranza e, in effetti, è proprio così.


© Thalia | harrypotter.it

 
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