Ho ragione, dunque. Ti tengo ancora il polso, mentre il mio sguardo non si rivolge ad altri che a te. Ci siamo solo tu ed io qui, Nieve, e non hai bisogno di mentire. Non a me.
Sapevi che non sarebbe successo: non mi puoi spaventare più di quanto io spaventi me stessa per i pensieri che ho avuto e continuo ad avere, per le azioni che compio e rifarei se necessario. Non mi terrorizza l’idea di te che mi minacci verbalmente; una parte di me spera che sia solo un modo come un altro, per te, di affrontare il lutto che ti ha privato di un punto fermo e non soltanto della magia.
Ti guardo e vorrei che trasparisse la compassione che provo, ma so che non la gradiresti; sei fatta così, orgogliosa e caparbia pur non essendo emotivamente integra. Ti lascio andare il polso, allora, o perlomeno la mia intenzione è quella finché le tue dita non si serrano - contro ogni possibile aspettativa - attorno al mio collo scoperto.
Mi hai presa in contropiede, te lo concedo, e il battito cardiaco che fa pulsare la vena che premi con veemenza ti darà contezza, se non altro, del danno fisico che stai per produrre. Potrei perfino svenire e allora come lo spiegheremmo?
Non rilascio la presa a mia volta, convinta che mantenere un appiglio al mondo materiale mi permetterà di confrontarmi con te - se non proprio alla pari - quanto meno a quattr’occhi.
«
N-no-...»
Non ti lascio vorrei dirti, ma la tua forza mi impedisce di rilasciare quel poco fiato che servirebbe e perfino di deglutire. Nel delirio che l’assenza di ossigeno piano piano sta alimentando, penso che aumenterai la tua forza fino a spezzarmi, fraintendendo quella sillaba e pensando - ancora - che voglia prevaricarti. Eppure non riesco a pensare di potertela dare vinta, non assecondando i tuoi capricci di bambina ferita.
Le mie dita si muovono rigidamente risalendo il polso e afferrandoti il palmo prima e provando ad allentare la presa delle dita poi. Tutto è inutile, tale è la convinzione del gesto che stai compiendo. Ti sento rafforzare la presa e confermare che, in questo gioco, sei tu a guidare la strategia e l’esito della partita.
Per un momento, fugace e assurdo, penso che dovrei essere ben più che a corto d’aria e nonostante la presa ferrea che mi imponi non lo sono. Potrei afferrare la bacchetta nella tasca del cappotto, ma mi vedresti afferrare l’impugnatura del legnetto di salice per farti del male e allora, Nieve, avremmo davvero toccato il fondo.
Ti guardo e sento le lacrime premere agli angoli degli occhi già arrossati per la costrizione fisica alla quale mi sottoponi. Non ti credevo capace di tanta rabbia, ma avrei dovuto aspettarmelo dopo quanto mi hai raccontato e mi è stato riferito. Eri una bambina vissuta nelle lande islandesi, cresciuta dai lupi - quasi - e sei tornata a quello stadio mentale in un baleno. Gli anni di civiltà ed educazione li hai gettati via, proprio come hai fatto con la nostra amicizia, e forse anche per questo non riesco a provare rabbia per ciò che sei diventata. Credo di sapere, in fondo, che questa sia sempre stata una parte di te che, consapevolmente, mi hai celato.
Non ho intenzione di piegarmi al tuo volere, Nieve, perché farebbe bene soltanto al demone che ti porti dentro. Alimentare il mostro non mi renderà una persona migliore e qualsiasi cosa decideremo di fare, ora, siamo persone diverse da quelle che eravamo. Forse un giorno capirai le mie ragioni, capirai quanto profondamente sia disposta ad amare ed amarti e solo allora saprai quanto mi è costato compiere il passo che sto per fare. So già che mi pentirò di questo tentativo, sia che vada a buon fine oppure no, ma sono stanca dei tuoi giochi. Non sono mai stata una persona
fisica né possiedo i giusti rudimenti della lotta, ma con un po’ di fortuna il tuo peso - minore del mio - mi verrà in aiuto. Ti afferro allora il colletto del maglione con la mano libera, come se volessi avvicinarmi a te ancora di più e forse questo ti farà irrigidire, perché da me ti aspetteresti accondiscenza in circostanze migliori di questa. Eppure, Nieve, che cos’ho da perdere? Tu ed io non ci siamo mai raccontate delle bugie: se tu non ci sei e scegli di non esserci è una tua scelta, non mia. L’unica decisione che posso prendere e la responsabilità che voglio assumermi è quella di aver provato a salvarti, non come gesto di redenzione per me, ma per l’amore che provo verso di te.
«
N-no..» boccheggio, questa volta più decisa di prima. E’ un rifiuto alla tua forza, ma capirai che non sono disposta a piegarmi ai tuoi capricci quando opporrò fisicamente resistenza alla tua morsa d’acciaio su di me, provando a girarmi per sfuggirti e, al contempo, infilando un piede tra i tuoi.
Ricordo le nostre lotte nel letto che abbiamo condiviso durante le nostre vacanze italiane: le tue risate, i cuscini di piume sventrati per la forza dei colpi che ci infliggevamo a vicenda e i momenti di silenzio quando, alla fine, eravamo senza fiato.
Quella di adesso, invece, è una lotta diversa - più simile ad un bisticcio esagerato tra sorelle invidiose l’una dell’altra. Ogni mezzo è lecito, Nieve, se serve a farti capire che non sono più caratterialmente flessibile come un tempo rispetto alle tue richieste.
Quasi non ti sei accorta del movimento della gamba, forse l’hai ritenuto un mio sbilanciamento del tutto naturale, ma la verità è che quando ti colpisco l’interno del ginocchio col mio e con tutta la forza che ho rimani sorpresa e lo sei ancor di più quando, quasi nello stesso momento, riesco ad approfittare della tua stupefazione per allontare il tuo braccio - e le tue dita - dal mio collo.
La colluttazione dura qualche secondo, ma quando ti lascio cadere nella neve ti stringo ancora il maglione con l’altra mano e quasi ti accompagno a terra.
Se nei tuoi occhi è il fuoco dell’ira cieca che vedo, nei miei vedrai la placida minaccia dell’acqua: cheta e inerme può trasformarsi in un flusso assassino che non lascia scampo. Il fuoco puoi spegnerlo, ma l’acqua non puoi fermarla.
Quando ti lascio andare, finalmente, il contrasto del tuo incarnato e dei tuoi capelli sul manto niveo che ti circonda mi sconvolge e mi fa fare un passo indietro. Non voglio lottare con te Nieve, te lo sto dicendo forte e chiaro, ma tu non mi ascolti.
«
Cresci, Nieve…» ansimo, facendo un altro passo ancora per allontanarmi da te. Mi passo le dita sul collo e sento ancora la tua presenza su di me, come se mi avessi marchiata a fuoco. Deglutire mi fa male e la mia voce è arrochita per lo sforzo, ma non mi esento dal dirti come la penso. Non l’ho mai fatto e non comincerò adesso a privarti di un simile piacere.
«
La vita non è una favola e tu sei l’artefice del tuo destino.»
Sembra stupido, detto da me che inseguo una chimera e una profezia da anni, ma lo penso davvero.
«
Vuoi odiarmi perché cerco di sopravvivere a modo mio? Fallo. Vuoi privarmi della tua amicizia perché sono un mostro come Grimilde? FALLO!» vorrei aver urlato, ma mi rendo conto che sia impossibile.
Ansimo e non trovo pace, ma so anche che non me la darai vinta andando via furente con te stessa - e con me - per aver ceduto, solo un momento, di fronte all’affetto che in qualche modo ancora ci lega. Non abbiamo mai litigato, Nieve, e questa situazione mi sta devastando cuore e mente in modi che non sarei riuscita ad immaginare. Tra i ricordi migliori e quelli meno belli, adesso, si è insinuato anche questo. Non so come ci scenderemo a patti, se mai lo faremo addirittura, ma non ce la faccio più.
Ti sto istigando, lo so perfettamente, ma non ho la forza fisica di oppormi a te, non più di quanta ne avessi prima. Riconosco in te l’animale spaventato ed arrabbiato insieme che, per aver salva la vita, è disposto a morire pur di fuggire.
«
Se vuoi picchiarmi per sentirti meglio, fallo, ma non risolverai mai i tuoi problemi. Non così.»