Il Fwooper d'Oro

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Camille Donovan
view post Posted on 29/1/2024, 19:35 by: Camille Donovan
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Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

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ono stordita dalle giravolte quando tocco terra, mi sorreggo ad uno degli schienali di fronte mentre mi siedo composta all’arrivo di Mrs. Chittock. Nonostante i lievi capogiri, il mio entusiasmo non si frena e applaudo anch’io con energia. Emily Vannet ci ha deliziati con il suo ritorno, un ritorno in grande stile elogiato dal pubblico e dalla critica evidentemente, che le riserva uno dei premi più prestigiosi a mio parere. Le soprese non sembrano terminare però, prima di allontanarsi dietro le quinte tira fuori un nuovo asso dalla sua elegante manica. Il lancio dell’album, l’annuncio del titolo, lascia sbalorditi i presenti, ma nessuno può minimamente competere con ciò che provo quando l’informazione mi travolge. Se loro sono sbalorditi, io lo sono almeno il triplo.
Chocolate Babe.
Lo ripeto in un sussurro, ruota dolcemente sulla punta della lingua per accendere la memoria mentre lo assaporo. Mi porta indietro fino ad un Natale passato, ad un regalo che tu stesso mi hai fatto. Ti guardo, cerco i tuoi occhi con i miei stipati d'interrogativi. Vorrei chiederti se il collegamento è giusto, se non sono io ad essere pazza, ma mi trattengo e come sempre lo catalogo come uno dei miei sciocchi voli pindarici. E invece mi sbaglio, me ne dai conferma e allora esco allo scoperto ormai priva di dubbi «Il bigliettino.» ogni dettaglio sta scritto lì, una riga enigmatica che racchiude più di quanto io avessi già provato ad indovinare. No, non mi sono dimenticata, anzi «Lo conservo ancora sai?» un sorriso buffo, quasi impacciato, incurva le labbra. Lo custodisco con cura – un atteggiamento infantile forse, ma poco m’importa –, a testimoniare uno dei tanti meravigliosi momenti passati assieme «In un diario, tra le foto e i ricordi più importanti.» vicino alla prima polaroid che ci ritrae per la precisione, i nostri volti allegri e spensierati durante il Ballo delle Orme. Tanto altro è accaduto dopo, non è difficile credere fermamente che molto altro ci attenda poi. E chissà, il concerto posticipato potrebbe essere una delle varie occasioni che si affacciano sul nostro futuro «E sono sicura che a breve, tra quei ricordi, ci saremo noi mentre cantiamo a squarciagola ad un suo live!» sono elettrizzata alla sola idea, non lo nascondo. Se con un’unica canzone Mrs. Vannet è stata in grado di scatenare l’intero teatro, posso vagamente immaginare cosa significhi assistere ad un intero show progettato ad arte «Sappi che ho già le api frizzole in lista da portare, è stato così divertente volteggiare lassù che dobbiamo assolutamente replicare!» non riesco ad aggiungere altro, lo spettacolo continua e tutto muta per ricevere i nuovi ospiti.
L’atmosfera, nel silenzio che segue la premiazione, si colma di un qualcosa paragonabile alla pace dei sensi. Fumo bianco che richiama la natura, inspiro a pieni polmoni e vengo trasportata metaforicamente altrove. Mi trovo in una radura rigogliosa, le palpebre serrate, a bearmi di ciò che mi circonda. Ad allietare l’udito c'è solo il fruscio dell’acqua, il fischio del vento tra le fronde: è il suono della vita. Eppure, ad un certo punto, li sento davvero, non sono un’illusione. Riverberano nella Sala, mentre sul palco – anticipati da una singola frase, pronunciata da più persone contemporaneamente – fanno il loro ingresso sei musicisti, sono sospesi in aria e brillano di luce propria. Appaiono come astri a tutti gli effetti, si mischiano perfettamente alle stelle che adornano lo sfondo: sono i Figli del sole.
La natura tiene il ritmo e, prima che la loro esibizione cominci, le poltrone magicamente scompaiono e veniamo delicatamente accompagnati – in levitazione – fino al pavimento da dei tappeti. Sono stretti e rettangolari, di pregiata fattura orientale e dalle tinte accese.
Un gong.
Inizia la magia.
«The mountain thunders, we prostrate ourselves to it.» ci invitano ad imitarli: gambe incrociate, le mani giunte al petto ed infine un inchino in segno di rispetto, che affonda finché il corpo tocca la stoffa sottostante «Nadiyon ki maa, behte huye paani mein badbadaati hai.» le loro voci, perfettamente all’unisono, originano parole in lingue esotiche. È facile intuire che, probabilmente, sono di uso comune nei luoghi lontani in cui sono nati i protagonisti in scena. Le mani, ancora giunte, ora si sollevano assieme al busto, dritte verso il cielo. Il respiro si regolarizza, a tempo con la dolce melodia delle corde pizzicate. Mi pervade un senso di abbandono estremamente piacevole «Inasimulia hadithi ya Goddess Prithvi, Mama wa Asili na mlinzi wa watu.» le braccia, leggere come piume, diventano raggi e disegnano un cerchio nel ridiscendere. Scivolano lungo in fianchi, le dita che s’intrecciano all’altezza del ventre.
«Ine yahkam alma sode al-salam walgabat al-mubahja.» il mantra è scandito con regolarità, sgombera la mente e la riempie con immagini quasi oniriche. Infonde tranquillità, il corpo che lentamente si rilassa, i muscoli che si sciolgono e si distendono. Si rilassa come un bambino che ascolta la favola della buonanotte, con i suoi eroi e suoi cattivi «Pakshi ga rahe hain.» c’è la principessa, nel suo prosperoso regno «Pattiyon mein sarsarahat hoti hai.» un luogo fatato, con meraviglie dietro ogni angolo «Tah Prithvi ka abhivadan hai.» i toni di quell’insolito coro si fanno improvvisamente più tristi però, grigi come il cielo invernale di Londra «Tamtar.» un nuovo rintocco del gong scuote le membra, l’arpa e la lira scandiscono il ritmo di un forte acquazzone «Prithvi analia.» le braccia si distendono in avanti, i palmi verso l’alto e raccolti a formare una conca dove la pioggia è libera di sostare «Gos kazza ouaynah al-hezintan tejfan fe shams.» vi si ferma solo pochi istanti, poi fluisce via appena la bacinella improvvisata si richiude su sé stessa. E così, solida e sottile come una lama, corre incontro al mento che impaziente si piega, pronto per unirsi nel tipico mudrā indiano «Mapenzi yake yalimuacha […]» un saluto che, appunto, anticipa la fine che inesorabile incombe.
Le battute che restano scorrono rapide, forse troppo.
Persino il gong torna a farsi sentire un’ultima volta, il suo personale addio.
«Ode Prithvi, these flowers are for you.» tra le nostre mani sboccia un fiore di Loto, candido e delicato – fragile quanto l’animo umano. Silenziosi, gli Artisti ci indicano una figura femminile posta sulla destra del palco. Chiedono implicitamente di omaggiarla, ponendo il fiore ai suoi piedi. Mi alzo e, quando anche tu sarai pronto, ti seguirò verso l’altare. Fatta l’offerta il Loto si dissolve nel nulla, come se l’entità superiore lo stesse accogliendo davvero con gioia nella sua dimensione ultraterrena. Si dissolve anche il resto, l’atmosfera meditativa svanisce e tutto torna come prima: le poltrone, ogni cosa.
Per quanto sembri assurdo ora che siamo nuovamente alla normalità, ci hanno trascinati sul serio nel loro mondo di Dei e spiriti.
Le ovazioni che nascono e pian piano salgono d’intensità, si riversano su di loro a ringraziare per le intense emozioni trasmesse.
Code • Oliver


Eccoci qui con "Samasthiti, Montagna", dei Figli del Sole :gattello: Da immaginare con questa base (click), con il mantra che viene scandito sopra così (click) - da prendere in considerazione la parte cantata dai Bowland, ovvero:
Ba marg, Raha shavam,
Ranj pas az ranj, Tavan daham,
Dard dar zendegi,
Payane khosh, Aram shavam,
Aram shavam,
(Tramonta presto)
Aram shavam
(cadono le foglie)
Aram shavam,
(Cadono le case)
Aram shavam
(Cadono le nuvole)


Enjoy :music: :<31:
 
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17 replies since 4/6/2023, 20:46   486 views
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