Seventeen, Colloquio di orientamento - Camillo Breendbergh

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view post Posted on 2/6/2023, 23:13
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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CodicePerché faceva così male? Perché anima e corpo, per una volta, non avevano potuto far pace tra loro, lasciandogli un attimo di serenità? Perché aveva voluto forzare quel contatto, sapendo che di lì a poco ne avrebbe pagato le conseguenze?
Mentre il cuore pian piano si era riassestato, tornando a bussare regolarmente contro il petto, come il metronomo di un andantino che sulla punta teneva un martello, la mente si era agitata in un moto convulso di pensieri che per nulla rispecchiavano quel devastante ticchettio. Un prestissimo, la discesa cromatica in un baratro cacofonico, che apriva le danze di un valzer disperato e frenetico proprio sui tasti piú gravi. Non ci capiva piú nulla. Non distingueva un suono dall'altro, non era in grado di mettere ordine sullo spartito della sua esistenza. Eppure tutto gli sembrava cosí sbagliato. Ma il cuore teneva il tempo giusto e tanto gli bastava, poiché quiete voleva comunicare e quiete comunicò. Perché almeno lui, la quiete l'aveva trovata.
Adeline si era irrigidita, il che da un lato era una cosa estremamente negativa, perché non era affatto la risposta di qualcuno che aveva accolto con leggerezza il contatto. Dall'altro forse era meglio cosí, – ingenuamente, s'era detto – quello era il riflesso fisico di una persona che riacquisiva compostezza. Bene o male, l'aveva aiutata a riprendere il controllo di sé stessa. O l'aveva forzata a chiudersi?
Un sasso posato o un sasso lanciato? Un altro accordo fastidioso scattò come una molla rotta. Avrebbe dovuto lasciare che si sfogasse, che il flusso di coscienza facesse il suo corso fino a condurla verso la propria pace, senza interferire. Non era da lui, ma a conti fatti doveva essere il modo migliore per gestire tutta quell'energia.
Poi arrivò la smentita, il corpo di lei che tornava a rilassarsi. E fu lì che si domandò se potesse essere a tutti gli effetti una smentita o la maniera in cui s'era abbandonata all'inevitabile.
Cosa aveva combinato?
La spinta gli fece tornare a battere il cuore a mille, come se le mani di Adeline fossero state defibrillatori, un fulmine in petto che l'aveva ricaricato e bruciato nello stesso istante. Assecondò la pressione per separarsi da lei, sentendosi cingere da un ennesimo abbraccio subito dopo. Un contatto fisico che non era stato lui ad innescare, che non si era minimamente aspettato, dopo lo sguardo indecifrabile che gli era stato rivolto.
Perché una cosa cosí semplice, una dimostrazione d'affetto come tante, doveva fare cosí male? Perché era carica di significati nascosti che non era in grado di comprendere.
"Io lo so" il diavolo gli balzò in corpo, prendendosi la libertà di occupare un guscio all'apparenza vuoto. Vuoto non era. Lo divorò tra fauci iraconde e spietate, il sangue a zampilli di lava con la sassaiola dei suoi pensieri a grandinare violenta. Ed il silenzio ad accogliere quelle tre parole.
Avrebbe voluto urlarle in faccia che la vita non era un merito e che, come non si decideva di venire al mondo, nemmeno era un privilegio che si poteva guadagnare. Succedeva e basta, non c'era un motivo, e non era una punizione. Sarebbe stato incoerente. Proprio lui che s'era sempre detto che quando le cose fossero andate allo sfacelo, avrebbe sempre potuto uscire di scena con grande stile. Proprio lui, che inconsapevolmente aveva iniziato ad organizzare tutto nei minimi dettagli, giorno per giorno. E invece stette zitto, ignorando anche quel ringraziamento sterile.
Vattene!
Il grillo parlante fu imperativo, cercava di conservare il briciolo di speranza rimasta di uscirne illeso, senza rendersi conto che il danno ormai era bello che fatto. Il pensiero di annegare nel suo dolce veleno per un istante mise ordine tra le sue idee. Un artificio disgustoso, la promessa di una serenità imposta, che nulla aveva a che vedere con ciò che desiderava veramente. Aveva voluto tutto e qualcosa gli era stato dato, quello era vero. Ma non era abbastanza.
Lo aveva ribadito la Professoressa Walker, con aria quasi di sfida o come se la sua piú grande paura si fosse concretizzata. Una burrobirra. Limitarsi. Avrebbe riso, se in quel momento ne fosse stato capace.
Invece rimase composto e le restituì uno sguardo sornione e mite, al contempo. Aveva finalmente intravisto uno spiraglio di ciò che si celava veramente dietro alla facciata vivace e serena con cui aveva familiarizzato.
Gli era rimasto sulla lingua il desiderio di un grande discorso da pronunciare, quasi una ramanzina. Lui era l'ultimo degli stronzi che poteva permettersi di farlo, perché era un ragazzino che ancora andava a scuola, sotto l'ala di un'insegnante, una donna adulta già formata e che per anni s'era abbeverata a grandi sorsi di un male che lui da poco aveva imparato ad accogliere. E non ne sapeva niente, aveva esperienza della sua individualità. Ma tutta quella rabbia era frutto di un concetto, fondamenta che sorreggevano i pilastri di un'idea: in fin dei conti la matrice era la medesima, si era ritrovato nelle sue parole perché condivideva lo stesso dolore. Che poi le cause fossero altre, fu in sorte al fato e nulla di piú. Uno scherzo del destino, come si usava dire.
A volte faceva proprio schifo vivere.
Lui faceva schifo come studente e come amico, il problema era quello – scavalcò la battutina –, non era solo una questione di non essere divertente. Avrebbe potuto fare di più da entrambe le parti, perché una cosa non escludeva l'altra, non era un gioco a somma zero. E lo avrebbe fatto, anche quando una delle due parti avesse esaurito il proprio corso.
Stemperò la tensione, il tono si sintonizzò sulla stessa ironia che gli era stata rivolta. «Se ci tiene ad aiutarmi e mi ritiene idoneo, professoressa Walker, può farlo concretamente firmando le carte. Scrivere che ho le idee chiare sul mio futuro e lasciarmi andare. Temo non ci sia altro da fare».
Licenziandolo cosí dal suo obbligo burocratico. Si era spiegato con la massima serenità d'animo, suggerendo che fosse sua - di Adeline - la scelta di come gestire tutta quella faccenda. Un bungee jumping tra formalismi, nomi e nomignoli; una corsa su montagne russe costruite sopra un flusso di emozioni e sentimenti che chiamava a gran voce un secondo giro, e poi un altro ed un altro ancora, tra le grida divertite e terrorizzate dei passeggeri. Almeno per lui.
Vattene, ora.
Questa volta una richiesta, celata come un consiglio. Per lui quella era una parte di sé esplorata ed inesplorata, sostenuta da un filo di incertezza che poteva spezzarsi in qualsiasi momento. O un cappio bello solido, dal nodo fatto a regola d'arte. Quale fosse il suo destino, in effetti, non era piú tanto chiaro ed il cuore che correva come un dannato gli aveva in qualche modo fatto capire che sì, forse era davvero meglio levarsi di torno, almeno per il momento. Finalmente anche la testa era d'accordo con la sua controparte impulsiva, ma per uno strano scherzo della sua indole, lui era di un altro avviso.
Perché sotto sotto si stava divertendo piú del dovuto, perché il dolore era solo l'ennesimo punto in comune che aveva trovato con Adeline. Perché il suo sguardo non si era mai mostrato impietosito. Non le aveva mai detto che gli era dispiaciuto per come lei avesse vissuto la sua vita, che sua madre fosse morta, che suo padre fosse scappato. Sua zia, per quanto lo riguardava, per come gli era stata presentata, poteva anche schiattare – se già non l'aveva fatto – e attenderlo pazientemente tra le vampate di un inferno vuoto e rovente. Non ci credeva nemmeno per sbaglio che quell'idea di essere sbagliata, cattiva, immeritevole, buona solo a far del male, fosse un seme spontaneo e non un'idea che Adeline stessa aveva contribuito a coltivare, ma non a piantare. E sarebbe rimasto nella sua vita, se lei glielo avesse permesso, finché non lo avesse ammesso lei stessa – e oltre, per godersi la sua felicità. A costo di far schifo in due, marci e maledetti come fiori da buttare via.
Allungò una mano verso il biscotto lasciato sulla scrivania e l'altra a fare un gesto un tantinello sgraziato, come per dire "avanti fammi a pezzi se ci riesci". Gli era tornato in mente quel suo: "Hai voluto tutto…".
«Chiedimi se mi pento di qualcosa». Il tu. Comandò, come se ne avesse avuto il diritto. Gli occhi seri, indagatori. La risposta era ovvia. Poi avrebbe potuto mandarlo a quel paese fino a data da destinarsi, o per il resto dell'eternità, se questo fosse stato il suo volere; cosí sarebbe tornato ad essere solo uno dei tanti studenti che frequentavano l'aula di Pozioni, per il poco tempo che gli restava. La condanna da scontare: l'ultimo anno in compagnia di se stesso, poi una vita da uomo libero.

 
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view post Posted on 3/6/2023, 20:21
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Mi sento un po' in colpa.
Riconosco le dinamiche che hanno preso vita tra me e Camillo in questa stanza – ne riconosco in particolar modo il valore e l’importanza – e non ritratterei mai il mio “dare tutto ciò che possiedo e non, dare tutto di me” se questo caso mai servisse – ma al tempo stesso mi sento colpevole di aver lasciato il mago in balia di vortici e gorghi che solitamente appartengono unicamente a me – o sono io sola ad appartenere a loro.
E non importa neanche il fatto che sia stato il Tasso stesso a chiedere – a pretendere quasi, in virtù di un più o meno implicito patto stretto tra noi – perché sono io la [“portatrice sana del male”] e in quanto tale, dovrei elargire con molte più ristrettezze e regole quanto mi porto dentro, patti o non patti.
”Molte, molte di più.” mi ordino mentalmente, affranta ma estremamente decisa.
Osservo Camillo e mi chiedo se e/o cosa abbia percepito e pensato mentre io sprofondavo nel mio personalissimo buio e gelido gorgo infernale, ne venivo poi risputata fuori con rabbia, per puro istinto di sopravvivenza di quella parte di me sempre pronta a lottare per me e per chi amo – ma forse sono ancora troppo lontana da questi pensieri ed infine tornavo piano a respirare e a rasserenarmi – sempre le solite stupide, stupide dinamiche - tutto questo in quanto tempo, poi?
Il mio caotico mondo interno segue logiche spazio-temporali tutte sue – il che il più delle volte mi è di aiuto, ma talvolta invece..

[Osservo Camillo e] gli vorrei dire che mi dispiace, e che mi serve tempo, e pazienza, e altro tempo ancora.
Posso razionalmente capire le sue parole, gliene posso essere anche sinceramente grata, ma non posso convincermene e avere fede per davvero, non posso crederci ancora – risuonano ancora vuote frasi di circostanza, assiomi impersonali che non tengono conto del mio passato, del mio presente – semplicemente non tengono conto di me.
Mi serve tempo - mi servono prove date dal tempo.
La burrobirra, penso, sarebbe anche questo: del tempo concessomi, del tempo concesso ad entrambi e una piccola, iniziale prova che sì, l’essere umano può interagire con Adeline Walker e può non esserne ferito, può non morire, può persino scegliere di restarle accanto senza per questo provare dolore e odio a causa sua e nei suoi confronti.
Un breve e dolorosissimo flash di una Alice furiosa che si aggira per il mio salotto lampa dietro il mio sguardo: un’altra prova a favore delle mie convinzioni - tanto per dire, mh.
[Osservo Camillo e] mi si riempie il cuore come pochi minuti fa, anche se la mia razionalissima ed intransigente mente dorata fa di tutto perché i sensi di colpa mi accartoccino l’animo.

-Se ci tiene ad aiutarmi e mi ritiene idoneo, professoressa Walker, può farlo concretamente firmando le carte. Scrivere che ho le idee chiare sul mio futuro e lasciarmi andare. Temo non ci sia altro da fare-
Mi risponde utilizzando i miei stessi toni e mi fa sorridere.
Annuisco contenta, dondolando ancora un po' le gambe mentre alzo la mancina a livello della fronte e imito un muto “signorsì – signore” militaresco – scoppiando a ridacchiare l’istante successivo.
[Osservo Camillo e] mi dico anche che, sebbene il colloquio chiaramente sia alle sue ultime battute - considerando special modo il fatto che chiaramente questo mago ha in mano le redini della sua vita più di tanti altri, studenti o adulti a piacere – vorrei chiedergli ancora così tante cose – e ascoltarlo parlare per ore.
Osservo il mio Augurey e lo accarezzo ancora, indirizzando a lui il mio piccolo cruccio dispiaciuto che in verità dovrei dirigere al Tasso.
Regn d’altronde canta ancora – come a confermare il mio muto disappunto d’altro canto la Fenice è la mia, provate a disconfermarmi tzk ed è in questo momento che la voce dell’olandese torna ancora a riempire la stanza:
-Ti penti di qualcosa?-
Assecondo così la sua richiesta, riportando lo sguardo bicromo sulla sua figura, curiosa ed emozionata come una bambina.
In realtà mi dispiacerebbe sentire una risposta affermativa alla domanda – anche se com’è il detto? Meglio il pentimento che il rimpianto?
Il che mi porta ad aggiungere -E rimpiangi qualcos’altro?-
[Osservo Camillo e] penso che in fondo, qualunque sia la sua risposta, mi piacerà per il solo fatto di essere sua.
 
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view post Posted on 5/6/2023, 21:12
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CodiceL'olandese scosse la testa. Non si era pentito di nulla, perché ciò che aveva ricevuto da quel colloquio era esattamente ciò che aveva desiderato: conoscere Adeline. Non tutta in un sorso, come se avesse dovuto mandarne giú l'anima intera a mo' di shottino, quello era vero. Ma intravide uno spiraglio di ciò che c'era dietro la facciata della dolce Pozionista conosciuta alla grigliata dello chef Vandermolen.
Malediva il mondo, un po' anche per colpa sua. Se gliene si poteva dare colpa. Nella sua visione contorta del genere umano – che vi fosse uno schema o tutto fosse stato lasciato nelle mani del caso – erano sempre le persone piú dolci a portarsi dentro i dolori piú amari. E non se lo meritavano. Dove stava la causa? Dove l'effetto? Si domandava se la loro anima fosse cosí bella perché temprata dalla sofferenza o se fosse la loro indole ad attirare sventura. Più ci pensava e più si convinceva che c'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella meccanica straziante, qualunque fosse stato il verdetto finale.
Abbassò gli occhi sul biscotto e si rigirò quello che ne restava un paio di volte tra le mani, come se facendolo avesse potuto veramente riavvolgere il tempo, ripercorrendo a ritroso gli ultimi eventi. Di solito il tassorosso era una persona che rispondeva di getto, esternando senza filtri ciò che pensava, ma si dovette soffermare sulla semantica. In effetti, la domanda di Adeline era acuta e scaturiva risvolti laboriosi.
Il cuore aveva ripreso a correre e non si era piú fermato, come se lo slancio di prima non avesse voluto abbandonare l'inerzia. Come se della benzina fosse stata gettata su una fiammella che voleva spegnersi in pace, risvegliando i fasti dell'incendio che fu.
C'era una bella differenza tra il pentimento e il rimpianto: lui di rimpianti ne aveva molti, uno in particolare calzava a pennello come risposta.
«Rimpiango di non essere stato un amico migliore». La risposta siderale ruppe il silenzio, accompagnata da uno sguardo malinconico. Non era il riflesso, la manifestazione fisica, della rabbia che lo stava consumando; la placidità apparente che si era impossessata della sua mimica facciale celava alla professoressa quanto in realtà fosse irrequieto.
Avrebbe potuto fare di meglio, fare di piú. Ne era fermamente convinto. Perché ora che erano amici, rientrava nelle sue responsabilità aiutarla a sfilarsi quella menzogna, che come un velo posato per coprirle gli occhi le impediva di vedere quanta bellezza portasse nella vita degli altri. Ma prese comunque atto dei suoi limiti. Non si poteva distruggere il lavoro di una vita con una ramanzina, un abbraccio e qualche grande discorso sul significato di quel dolore. Era una cosa che andava smantellata per gradi e lui non aveva né la capacità, né il diritto, di mettersi a capo dei lavori. Spettava a lei e a lei soltanto. Ma ciò non voleva dire che dovesse tenersi alla larga e privarla del proprio supporto. Né tantomeno forzare la mano per accelerare i tempi.
Poi le concesse un sorriso e gli occhi tornarono a colmarsi di speranza. In fondo al vaso quella era rimasta ed era dura a tirare le cuoia. «Spero di poter rimediare in futuro».
Era arrivato il momento di togliersi di mezzo, lasciare la povera Adeline in pace e andare finalmente a quel paese. Recuperò la bacchetta e se la puntò contro.
«Ti ringrazio per il colloquio Adeline. Se è tutto, allora io vado…» e quando giunse al momento dei saluti, gli tornò in mente una questione irrisolta. Importantissima. Una domanda che ancora non aveva trovato risposta, nonostante l'avesse cercata. In fin dei conti era anche una questione di dare e avere, lui in quel senso aveva già mosso il primo passo.
«Ma prima che lo faccia, mi piacerebbe sapere qual è il tuo dolce preferito». Il tono calmo, gli occhi seri. Per lui era una questione importante, sui dolci non si scherzava, men che meno quando poteva sfruttarli – non dico riparare ai danni – ma quantomeno per chiedere scusa. Scusa per l'intrusione forzata nei suoi pensieri e nella sua vita. Scusa per quell'abbraccio. Scusa per non aver accolto la sua sofferenza, senza sentire il bisogno di metterci una toppa sterile. Scusa per averle rubato del tempo con le sue sciocchezze. Per non averle permesso di aiutarlo, andando oltre una firma sul foglio del colloquio. Per non averle fatto sentire che in due, dello stesso male, si soffriva di meno – e invece continuava a chiudersi a riccio, con quella sua aria da "va tutto bene, ho tutto sotto controllo". La verità era un altra, ma la tenne egoisticamente per se, perché sentiva di avere le sue ragioni per farlo. Ma sulle sue intenzioni, perlomeno, fu sincero. Ci teneva davvero a rimediare, un passo alla volta, grande o piccolo che fosse.
Poi, con il congedo elargito dalla professoressa, si sarebbe occultato nuovamente, tornando alla sua solita vita in fuga dal prossimo.

 
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view post Posted on 11/6/2023, 15:15
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Scuote la testa e c’è una parte di me che vuole credergli e fidarsi ciecamente – e alla fine lo fa davvero.
Dopo quella che mi pare un’eternità, lo sguardo scivola dal volto del tasso al palmo ora aperto della mia mano, quella che sino ad ora è rimasta serrata in un pugno per stringere – accogliere – proteggere – sentire il calore del piccolo nodo dorato che adesso incuriosito mi ricambia lo sguardo, lo zaffiro e lo smeraldo che brillano lievi.

-Rimpiango di non essere stato un amico migliore.-
Torno a stringere i due anelli e rivolgo uno sguardo torvo e confuso al contempo all’olandese: che cosa ha preso vita invece – dietro al suo di sguardo – che cosa lo sta muovendo per far sì che sia questo il suo esplicito rimpianto?
-Spero di poter rimediare in futuro.-
Mi rivolge un sorriso, beatamente inconsapevole che per me la discussione non può in alcun modo concludersi così.
Forse qui dobbiamo ancora chiarire qualche regola base tzk.
Se lui è un mio amico, ha certamente la sua più che buona e giusta parte di libertà d’azione e pensiero, anche autoriflessivo e conclusivo, in e di questa relazione – ma non può di certo pretendere la mia di parte maneggiandola e definendola come più gli aggrada – e mettermi in bocca parole – pensieri persino, che non gli rivolgerei mai, tantomeno oggi.
[“Ah-ah, non funziona mica così.”]
E non mi interessa neanche, per ora e unicamente per ora, che cosa lo abbia mosso nel suo dietro le quinte per poter rimpiangere una mancanza simile – perché banalmente, dal mio punto di vista, non ne ha il pieno diritto, non senza la mia parte, il mio pensiero a riguardo - la relazione d’amicizia in questo caso include anche me - non può semplicemente ignorarmi così definendo sì sé stesso – ma nella nostra relazione.
["Le libertà delle definizioni di sè, in una relazione, finiscono, mescolandocisi, laddove si pongono le libertà delle definizioni dell'altro - in una perpetua influenza e mutevole definizione.
La realtà percepita dell'Io è reale solo ed unicamente entro i confini del nostro Io - poichè nel regno dell'Altro, vince - e vincerà sempre - la realtà percepita dell'Altro stesso."
]
Nel mio costato si agitano le fiamme della ribellione ed il Tasso ha modo di muoversi e parlarmi ancora solo perché il caos che mi muove intrappola qualche secondo di troppo nella realtà esterna che avvolge entrambi.
-…mi piacerebbe sapere qual è il tuo dolce preferito.-
La domanda mi ancora nuovamente alla realtà e mi lascia interdetta – sorrido stupita perché solitamente questa è una delle mie battute – anche se d’altro canto.. è letteralmente la prima persona che capovolge i termini e si interessa della mia risposta.
Ad ogni modo, prima di rispondergli voglio mettere i puntini sulle i ”e i trattini alle t, per poter uscire di qui!”
-Sai, la definizione – il concetto stesso di “amico” esiste unicamente nella realtà delle relazioni.- gli rispondo quindi perentoria, volendo togliere ogni spazio a respiri, malinconia, “speranza di rimedio che non dovrebbe sussistere” - o qualsiasi altra cosa viaggi nella testolina del mago -E ogni genere di relazione presuppone la presenza di almeno due individui che si incontrano nello “spazio tra” loro.-
Stampo un bacio sul becco di Regn e torno a scrutare serena ma seria Camillo: -Puoi pensare di non essere stato abbastanza – ma di fatto non ne hai il completo diritto, non senza la mia parte di pensiero e opinione visto che ti riferisci all’amicizia tra di noi.-
Voglio essere molto chiara su questo punto.
-Per cui io ho la mia percentuale di “potere” ed influenza a riguardo – e io non sono affatto d’accordo, il che in effetti..- sto dondolando le gambe con ancora lo sguardo fisso sul mago, la testolina inclinata con fare meditabondo, sorridendo quieta:-Fa tecnicamente decadere la tua posizione. Le tue aspettative, desideri, rispetto a ciò che avresti potuto fare diversamente o meno - non battono la mia realtà percepita – non in queste condizioni e in questi termini, non con e per me.-
C’è una poco vaga aria di sfida che intercorre nello spazio che ci separa – ma l’istante successivo gli sorrido radiosa, perché vorrei comunque che capisse per davvero quanto abbia apprezzato ad ogni modo il suo pensiero, e gli voglia anche un po' più di bene per questo – non tanto per il rimpianto di per sé ma per l’idea portante di sottofondo.
Salto giù dal bordo della mia finestra dopo un’ultima coccola al mio Augurey e mi riavvicino al mago, ponendomi di fronte a lui, ancora sorridente.
-Ad ogni modo.. il mio dolce preferito è talmente semplice da venire persino scartato da alcuni, in qualità di “dolce”.-
Dondolo un po' sui talloni facendo una smorfia buffa, le braccia incrociate dietro alla schiena -Ma a me non importa. Amo le fragole con lo zucchero e il limone.-
Lo devo salutare, anche se preferirei non farlo – il che mi pone in una situazione sufficientemente antipatica per i miei gusti.
-Camillo?-
Torno indietro di qualche passo per riappoggiarmi al bordo solido della mia scrivania, senza staccare gli occhi dal Tasso data la consapevolezza che svanirà nell’ombra in una frazione di attimo, a suo piacimento: -Grazie.-
Non credo che tutto quello che provo sia riassumibile e soprattutto comunicabile attraverso una singola parola – ma quantomeno l’intento è questo.
Gli sorrido ancora una volta, congedandolo silenziosamente così prima di vederlo sparire di fronte ai miei occhi.

[-Sei libero e basta, in effetti.-
Ma in fondo, un piccolo pezzo di cuore ti seguirà per sempre.]
 
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