| La reazione della donna fu la conferma. Megan portò gli occhi su di lei, la vide irrigidirsi e dare voce ai suoi pensieri mettendo dubbi laddove non vi era alcuna possibilità di smentita. Megan aveva visto. Una traccia sfocata di un passato terribile. Aveva provato pena per quella bambina e ora provava pena per quella donna che, dietro un muro, alto e invalicabile, aveva costruito la sua fortezza. E solo allora Megan si rese conto che tra lei e Darmot non ci fosse poi così tanta differenza. Tuttavia, lasciò cadere qualsiasi pensiero a riguardo. Era lì per mettere in pratica le sue conoscenze, apprendere al meglio quella materia e prepararsi all’esame finale. In tal modo, non riuscì a trattenere un sorrisino soddisfatto mentre Darmot compiva la sua uscita teatrale svanendo sotto i suoi occhi. Una scia di tè nell’aria. «L’hai fatta grossa eh? Ti è andata bene che abbia continuato a restar seduta per tutte le volte che l’hai chiamata Darmot!» intervenne il professor Drake, subito dopo. «È il suo cognome, no?» Megan alzò le spalle e restituì la stessa espressione. Poi si concentrò sulle sue mani. Strinse i pugni per scaricare la tensione. Esplorare la magia divinatoria per la prima volta in quel modo sembrò risucchiarle tutta l’energia che aveva a disposizione. Si sentiva sfinita. Inspirò ed espirò profondamente. «Beh, non troppo bene» bevve un sorso di tè. Ne saggiò il sapore con calma, sentendolo scorrere lungo la gola e riscaldare lo stomaco vuoto. «Non avevo mai provato nulla di simile, professore. E sinceramente non so come mi sento a riguardo» gli lanciò un’occhiata, forse nella speranza di poter cogliere una qualche rassicurazione. Spostò poi lo sguardo sul tavolino, gli occhi blu indagarono sulle tre pietre apparse dinanzi a sé, davanti ad una candela. Poggiò la tazza e tornò a posare le mani sul grembo. Litomanzia, pensò. Quel pensiero anticipò le parole del professore. Una chiara domanda, poi, riecheggiò nello spazio e il cuore di Megan si fermò per un singolo istante. Gli occhi si accesero sotto il riflesso della fiamma, le pupille si strinsero accogliendone le più sottili sfumature. Serrò i pugni tra le gambe. Frenò l’istinto di sfiorarne il calore e nel medesimo istante in cui il pensiero le attraversò la mente avvertì due mani cingerle la vita e allontanarla da lì. Dove risiede la felicità di Megan Milford Haven? Sentì nuovamente quella domanda. Le palpebre si chiusero appena, schermando di poco la luce e il cobalto dei suoi occhi finalmente incontrarono le pietre dinanzi a sé. Sentì il cuore arrivarle in gola, le sensazioni si mescolavano come un nugolo di moscerini alla luce del tramonto: veloci, fastidiose. La mia felicità, disse silente. Si concentrò osservando gli intagli delle rocce dinanzi sé. Fu strano, improvvisamente un brivido tese il suo corpo. Si tirò appena indietro, tentando di scacciare l’ignota sensazione che l’avvolse. Poi si sentì abbracciare e subito quel contatto, seppur non visibile, la riportò indietro nel tempo. La pietra rossa si plasmò, perdendo consistenza. Era come osservare la lava incandescente discendere senza mai posarsi sul suolo: ciclo perpetuo. Due strati di memoria si sovrapponevano, entrambi così remoti da essere quasi irraggiungibili. La casa e il legno dei mobili che riempivano una stanza. Due volti e due voci. Lo scoppiettio delle fiamme. Luce calda, ombre danzanti. «Meg, è stato solo un tuono» mani stringevano le sue esili spalle, una carezza e un bacio sulla pelle. Eloise e Carl erano lì. Un nodo si strinse nella gola, Megan nel presente a fatica riuscì a respirare. La consapevolezza di una felicità sfumata via troppo presto, il dolore nascosto nel più angusto anfratto del suo cuore palpitava minacciando di tornare a galla. No, vedi solo ciò che devi vedere! Si rimproverò. Gli occhi passarono dalla prima pietra all’ultima, un attimo di pausa che si concesse senza però arrendersi a quelle visioni dandole il potere di distruggerla. Ancora una volta, il blu cobalto incontrò gli intagli della pietra ametista, l’effetto della luce proiettata su di essa rischiarava il colore dandole sfumature di un rosa più delicato. Di nuovo le immagini si plasmarono dinanzi a lei così nitide da confondersi con il presente. Ci siamo, pensò. Andò a fondo. «Certo, staremo sempre insieme.» un paio di occhi azzurri incorniciati in un viso triangolare, capelli biondi. Paul era lì. Le mani stringevano un fiore di ciliegio che incastrò tra i suoi capelli. Percepì quel gesto, si sentì accarezzare, tanto che un brivido le attraversò il collo sino a perdersi lungo la spalla sinistra. Ecco di nuovo la sensazione di un dolore che riaffiora, di una consapevolezza ormai radicata in lei. Lo aveva perso. Non si arrese. Più a fondo, si disse mentre percorreva i contorni dell’ultima pietra, al centro. La piccola fiamma illuminava i contorni, penetrava nel suo cuore e lasciava intravedere le linee geometriche aguzze come fossero piccole cime di una catena montuosa. Il verde smeraldo che emanava le scaldò il petto. Due occhi, simili a fari nelle tenebre. Sorrise prima ancora di rendersi conto di riconoscere l’origine di quello sguardo. «Farei qualsiasi cosa per te… Tranne allontanarmi da te.» Sentì una lacrima scendere lungo la guancia ma non tentò in alcun modo di spazzarla via. Le attraversò la pelle, cadde sul pavimento e le parve quasi di avvertirne il suono. E la consapevolezza arrivò nel medesimo istante: quel che aveva visto sino a quel momento erano una serie di attimi racchiudevano piccoli sprazzi di felicità dove l’amore faceva da perno. Tuttavia quell’ultima lettura, quell’ultimo ricordo non troppo lontano, non lasciava affiorare in lei alcuna sofferenza. Non avvertì l’esigenza di rifuggire altrove ma di restare. La calma avvolse il suo corpo teso e subito riconobbe la sensazione dell'abbraccio, lo stesso che aveva avvertito sin dall’inizio. Draven c’era sempre stato, era stato il primo pensiero sebbene non si fosse palesato nel medesimo istante in cui le era stata posta la domanda. «Io… È ancorata al mio passato, ma vive nel mio presente, professore.» disse con un filo di voce e solo alla fine di quelle poche parole tornò a guardare Drake. Il contatto con la realtà le causò bruciore agli occhi, si era soffermata a lungo sulle venature colpite dalla luce calda della candela. Aveva attraversato spazio e tempo con la mente, letto se stessa attraverso quelle rocce. Avvertiva il pericolo di quel potere: le immagini che avevano invaso la sua mente erano piccoli brandelli innocui di una vita che non le apparteneva più ma che - se solo fosse andata più a fondo, se solo avesse perso l’obiettivo - avrebbero potuto far riaffiorare in lei un dolore che da anni aveva cercato di sopire. Poggiò le spalle sulla sedia.
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