Sottopelle corre veloce la sensazione d’impotenza. Non esiste via di fuga che possa darle scampo da una situazione che non ha cercato, creata da qualcuno che aveva la presunzione di credere di conoscere fino in fondo.
Nieve Rigos non le era mai sembrata tanto lontana da lei come in quel momento e capì, con lo smarrimento che segue il risveglio da un bel sogno, che forse quell’idea di lei era stata semplicemente e inesorabilmente un’illusione. Mentre guardava Camille Donovan eseguire il suo ordine senza battere ciglio un brivido nuovo le corse lungo la schiena, scuotendola da capo a piedi: l’aveva fatto di nuovo, proteggerla senza rendersene conto, fingendo di tutelare la sua Casa - Tassorosso - come se le due cose avessero un valore e una priorità differenti.
Anche Nieve era stata
casa, in un modo così naturale e spontaneo da renderle impossibile ignorarla. La proteggeva nonostante i mesi di silenzio, durante le settimane passate a chiedersi che cosa fosse accaduto e perché nessuno volesse rispondere alle sue domande. Si era sentita spogliata di ogni difesa per troppo tempo, in balia di decisioni prese da altri e a cui lei non aveva potuto far fronte.
Persino l’Anello che indossava si prendeva gioco delle sue intenzioni: i colori di Tassorosso le avvolgevano l’indice in un abbraccio di leggero metallo, nelle cui fibre scorreva la magia dei Gemelli Weasley; in quell’incantesimo che pareva voler superare la distanza reale tra due corpi e due spiriti, uniti da un legame più profondo di qualsiasi altro, ecco che l’illusione andava fortificandosi sfiorando la solidità della realtà pura e cruda. Odiava il fatto di averla cercata, notte e giorno, attraverso quell’oggetto ad oggi insignificante.
Un cenno educato del capo salutò l’avvicinarsi del Prof. Cravenmoore al tavolo dei docenti e con naturalezza volse il capo nella direzione della Grifondoro, come se si aspettasse di vederla per la prima volta, ancora.
Vedeva le sue labbra muoversi, mimare parole inudibili da quella distanza, e il desiderio di sapere che cos’avesse da dire - ancora - iniziava a corrodere internamente tutto il suo sistema nervoso. La curiosità e la rabbia si mescolavano insieme in un mix pericoloso e affascinante allo stesso tempo; così una parte di lei continuò ad osservare le due ragazze - il Prefetto e la rediviva Rigos - chiedendosi se e quando i nervi della Donovan sarebbero scattati come molle sollecitate con la giusta pressione.
Aveva visto Camille accettare la spilla con la stoicità e l’entusiasmo tipico della sua età, ma l’aveva anche assistita in quel percorso di crescita straordinario e non dubitava che il suo aplomb avrebbe preservato Nieve da una risposta chiara, immediata e inequivocabile. Qualunque cosa le stesse raccontando Nieve era certa che Camille non avrebbe abboccato al suo amo; anzi, esisteva una buona probabilità che chiunque in quella stanza avrebbe capito che mettersi contro Camille avrebbe solo reso la giornata peggiore. Sembrava una ragazzina dolce, con quei suoi lineamenti delicati, ma in lei viveva anche la parte del suo carattere che gliela rendeva più simile: perentoria e rispettosa delle regole, la Donovan non transigeva in nulla e, se la situazione lo richiedeva, sapeva affrontare con la giusta dose di autorità le sfide che si apprestavano ad intralciarle il cammino. Aveva dovuto insegnarle poco o nulla in merito e di questo era grata.
Una parte di lei sapeva, però, che Nieve Rigos non fosse da sottovalutare: la sua capacità di urtare i nervi era seconda solo a quella di Pix e - al contrario del Poltergeist - la Grifondoro sapeva di poter puntare su una forma di meschinità che, ad onor del vero, a lei aveva sempre fatto comodo. Erano facce di una stessa medaglia, una più solenne e misurata persino nelle reprimende e l’altra quasi sempre più sagace e impertinente. Quei mesi trascorsi lontani e chissà dove, tuttavia, dovevano aver cambiato quell’assetto, sbilanciandolo. Non sapeva che cosa aspettarsi da lei, ma del resto… nemmeno Nieve l’avrebbe saputo davvero a ruoli invertiti. Non dubitava nemmeno che la persona che ora parlava con Camille fosse incline a cercarne il favore, sfidandola naturalmente, come solo lei sapeva fare.
Quel pensiero, al netto di tutti gli altri, le fece ribollire il sangue. Camille Donovan era troppo poco avvezza alle capriole umorali di Nieve; doveva fermare qualsiasi cosa fosse in atto in quel preciso momento, prima che la situazione degenerasse in qualsiasi modo.
Inspirò. Dov'è stata Nieve? Dov'era quando il suo mondo crollava a pezzi e la sua morale si sbriciolava come pane fresco? Dov'era quando la sua vulnerabilità l'aveva spinta tra le braccia di qualcuno che mai, prima, avrebbe considerato degno di fiducia… figurarsi di un sentimento più viscerale e profondo? E dov'era Nieve quando aveva bisogno di dirle che aveva sbagliato tutto, che non aveva capito niente, che dopotutto Mike era e sarebbe rimasto un cardine, proprio come lei avrebbe dovuto essere per Nieve?
Espirò. Non c'era. Semplicemente impegnata ad essere Nieve. A creare e disfare i propri problemi con una facilità disarmante, come se il mondo dovesse scomparire dinanzi alla sua presenza, poiché niente più importava se non Nieve, il suo essere e la sua forma, fragile e vittima del male e della crudeltà terrena e spirituale dell'uomo.
Nieve era ostacolo e salvezza solo per Nieve.
Non c'era posto per nessuno altro.
Nell’abbandonare la colazione a metà c’era il bisogno di allontanarsi da quella Sala, in parte volendo approfittare del fatto che fosse proprio il suo Prefetto a liberarle la strada verso la fuga; d’altro canto, adesso voleva che Nieve facesse i conti con lei, con la persona che era diventata senza la Grifondoro. Voleva che patisse la pena d'essere ignorata, vista e volutamente ignorata, così come lei aveva visto le sue parole su carta e udito la sua voce provenire dall'anello.
Lo guardava ancora, percependolo al tatto come un oggetto pesantissimo, e il contrasto con quanto aveva provato nel riceverlo - leggerezza, affetto e vicinanza - era sbiadito come un paesaggio pervaso dalla foschia del primo mattino. C'era stato, continuava ad esistere oltre quel velo, ma non era più nel suo campo visivo. Tantomeno poteva sentirsene legata, non quando la materialità di gesti e intenzioni era diventato un aspetto così importante nella vita quotidiana.
Si alzò all'improvviso, decisa e determinata a non fare rumore più del necessario, pulendo gli angoli della bocca con un tovagliolo e monitorando il tempo sull'orologio da polso. La prima lezione della giornata era ancora lontana, ma nessuno spazio in quella scuola sarebbe stato abbastanza vasto per separarla dall'idea radicata di prendere Nieve e scuoterla al punto di spogliarla di ogni maschera. Perché quella non poteva essere Nieve.
Presa la borsa a tracolla, scoccò un ultimo sguardo a Camille, vedendo che Casey Bell si era aggiunta al gruppo, oscurando alla sua vista l'oggetto della sua malinconia; non aveva intenzione di fermarsi, né di proferire parola. Vedeva quelle tre testoline vicine, nel vociare confuso della Sala Grande, e si chiedeva - col battito del cuore in gola - che cosa avessero da dirsi e perché Camille avesse stampata in volto quell'espressione serena.
Procedeva a testa alta, il passo sicuro di chi abbia fretta di raggiungere un luogo ben preciso in un tempo prestabilito. Come se fosse davvero importante quel che andava facendo. L'assurdità, se così poteva dirsi, era che non aveva idea di quello che avrebbe detto, fatto o pensato se il momento si fosse cristallizzato imprigionandola come una libellula nell'ambra. Se non fosse stata capace di andare oltre, di passare quel punto che via via si avvicinava, là dove i lineamenti delle tre ragazze diventavano più nitidi e le loro voci si mescolavano sempre meno al sottofondo.
Udiva Camille, voce rassicurante, e sentiva la risposta di Casey - pacata solamente per il fatto di trovarsi a propria volta in una situazione un po' spiacevole e volendo fingere che non fosse, forse, così; la voce di Nieve non era cambiata nella sua tonalità, la riconobbe e il cuore fece una capriola nel petto ritrovando quel timbro così caro, eppure, c'era un'inflessione maliziosa e meschina che non aveva mai trovato, un sottinteso di significati che andava ben oltre il messaggio innocuo espresso a parole. Sentiva il bisogno di preservare Camille da lei, adesso, perché in passato avrebbe retto il gioco della sua amica, ma adesso? Adesso aveva responsabilità diverse e una diversa condotta.
Quella non era Nieve.
E lei non era la stessa Thalia.
Si avvicinò al suo Prefetto, ignorando Nieve e scoccando uno sguardo a Casey dal sapore di un saluto distratto.
«
Quei due dove sono?» chiese.
Lo sguardo rivolto solo a Camille, la richiesta perentoria e il desiderio di non lasciarsi sopraffare dall'emozione. Non solo scorgeva la sua figura - una macchia indistinta di colore niveo più di quanto lo ricordasse - con la coda dell'occhio, ma percepiva il suo sguardo bruciante addosso.
Non poteva pensare di ricambiarlo. Non con così poco preavviso e preparazione.
«
Fagli sapere che questa sera dovranno parlare anche con me. Non tollero certi comportamenti.» continuò «
A prescindere.»
Perché non era il bullismo ai danni di Nieve ad averla fatta intervenire; o meglio, così le piaceva pensare pur sapendo di mentire a se stessa profondamente.
Fu allora che si voltò per abbracciare con lo sguardo la figura della Caposcuola Grifondoro con un sorriso di circostanza e la figura dell’Ex Prefetto, la persona che più tra quelle mura aveva conosciuto i suoi segreti e le sue paure.
Stupidamente, nell’incontrare la sua figura - questa volta per intero e senza sconti -, la maschera di austerità che aveva deciso di indossare aveva finito per scivolarle dal viso, mentre le labbra si schiudevano appena in un accenno di stupore.
Era sbagliato, lo sapeva, darle ciò che Nieve bramava di più: attenzioni e cure. Lei le prendeva e le gettava via come fazzolettini usati e dimenticati negli angoli delle tasche; ogni gesto nei suoi confronti un atto dovuto per leggi sacrosante e mai scritte.
Era anche impossibile, però, fingere che quello che stava vedendo non fosse agghiacciante: occhi vitrei e carnagione sempre più pallida, capelli bianchi come se la paura l’avesse colta nel sonno e le avesse lasciato quel dono scomodo. L’associò ad una figura spettrale, con quei suoi tratti esageratamente flebili e pur così intensi a confronto con l’ampia luminosità della Sala. La veste nera, bordata di rosso vermiglio, e lo stemma Grifondoro appuntato sul petto non miglioravano l’assiociazione mentale che istintivamente aveva fatto nella sua testa.
Hogsmeade, cancelli di Hogwarts. Un manto nero come la pece, magro e scarno, l’occhio vitreo e il respiro caldo. Non avrebbe dimenticato quella visione, né la ragione per cui aveva potuto - finalmente - averne accesso.
Nieve era in tutto e per tutto un’anima in pena - su questo non c’erano dubbi -, ma doveva ammettere che la separazione aveva avuto su di lei l’effetto contrario: non la rinascita, ma la morte.
La morte di chi lei era stata prima.
Di quello che loro, insieme, erano state.
Nieve era un Thestral in forma umana, non ne aveva dubbi, e sembrava lì per ricordarle che la loro amicizia era morta, senza che lei potesse farci niente.