L’esperienza con Furioso era stata intensa, se la sarebbe portata nel cuore a lungo, se non addirittura per tutta la vita. Sperava che anche per le altre, le compagne che avevano tentato, potesse risultare lo stesso. Il saggiarne la morbidezza delle piume. Poter sprofondare nei suoi occhi, così come ci si abbandona alla profondità degli abissi. Lo avrebbe rifatto altre mille volte. Senza paura nei confronti della creatura. Senza il timore di non essere accettata. Semplicemente, si sarebbe di nuovo…
abbandonata. D’altra parte questo significa fiducia:
abbandonarsi. Abbandonarsi pacificamente all'altro o all'altra. Per un istante, un lungo istante, si sentì quasi vuota mentre si allontanava dal recinto dell’Ippogrifo. Le dispiacque, e non poco, tornare indietro. Ma d’altra parte era conscia che, probabilmente, lo avevano sommerso abbastanza con le loro emozioni, forse era giusto lasciarlo assimilare tutto ciò in tranquillità e solitudine.
Il flusso di pensieri, che vorticava ormai nella sua mente come delle tumultuose rapide, venne interrotto sulla via del ritorno, quando il Docente indicò loro qualcosa al di là di uno steccato nei pressi dell’orto delle zucche. Quattro buffissimi gnomi gironzolavano tra i carnosi Horklump. Aveva già avuto modo d’incontrare quegli esserini infestanti, si divertivano spesso ad invadere la serra e le aiuole curate da sua madre. Lei, invece, d’altro canto, quando era molto, molto piccola si divertiva a rincorrerli. Non s’era mai occupata di persona di una disinfestazione, ma la proposta da parte del Docente di tentare l’allettava, le fece venir voglia di mettersi in gioco. Chissà, magari, in futuro, avrebbe potuto dare una mano lei stessa a ripulire il giardino. Le sembrava giusto, come suggerito, evitare metodi violenti. Voleva cacciarli, non far loro del male. Ma come poteva prenderne uno? Nell’immediato, l’unico piano che riuscì a mettere in piedi era:
bloccarlo. Trovare un sistema per mettergli momentaneamente i bastoni tra le ruote, ostacolarlo in poche parole. L’unica trappola utile poteva essere lo stesso terriccio su cui posavano le zampe, pronti ad acciuffare il loro cibo preferito, oppure a devastare le piante decorative. Ma come rendere il suolo “pericoloso” per loro? Se solo fosse stato abbastanza molle da impacciare i loro movimenti, fino addirittura ad ottenere un effetto “sabbie mobili”. Il suo manuale riportava, in particolare, un incanto in grado di evocare pozzanghere anche quando dal cielo non cadeva nemmeno una stilla di pioggia: il
Conlèctus.
Perché non provare? Se fosse riuscita nell’intento, il terreno, nel punto desiderato, sarebbe diventato, con ogni probabilità, un fastidioso pantano. «
Ci proveremo! Che Tosca me la mandi buona...» si rivolse così a Lucien, le ultime parole mormorate, quasi inudibili, prima di fare il suo, sperava non fallimentare, tentativo. Cercò di avvicinarsi il più possibile, con passi calmi e lenti, al primo gnomo su cui puntò gli occhi. A quel punto, con cautela, estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni la bacchetta. Distese il braccio, mentre cominciava a pensare a come desiderava che fosse la pozzanghera. Se la immaginò come un lago in miniatura, con un diametro di circa quaranta centimetri e una profondità, per quanto approssimativa, di dieci centimetri. L’acqua limpida, tipica delle risorse idriche di montagna, non verdastra e quasi impenetrabile come quella del Lago Nero. La poteva assimilare ad uno specchio perfetto. Uno specchio in cui perdersi. Uno specchio a cui
abbandonarsi. Sì, abbandonarsi come negli occhi di ossidiana di furioso. Nella sua mente, come un moderno Narciso, poteva sprofondarci dentro all’infinito, nel vano tentativo di sfiorare il suo riflesso intangibile ed inafferrabile. Tenendo ben impresso questo pensiero, vivido come non mai, iniziò a muovere il braccio, descrivendo un cerchio delle dimensioni desiderate attorno alla figura dello gnomo. «
Conlèctus» pronunciò poi decisa, facendo attenzione a porre correttamente l’accento sulla “e” e, contemporaneamente, dando una stoccata al centro del cerchio appena disegnato nell’aria. Se, come sperava, l’incantesimo fosse andato a buon fine, avrebbe atteso che la creatura annaspasse nel fango, creatosi grazie al rimestamento causato dai sui stessi movimenti. Una mistura infida, nata dal connubio perfetto di morbido terriccio e liquido. E, nell’ipotesi che lo gnomo non fosse sfuggito alla prima parte del piano, una volta “catturato”, si sarebbe avvicinata ulteriormente per recuperarlo e fargli fare un bel giro di giostra, una delle opzioni apparentemente più sicure illustrate dal Professor Cravenmoore.