Skyfall, Quest di Background ~ Nieve Rigos

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view post Posted on 13/3/2021, 20:58
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entropia.

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Disclaimer: questo post ha un contenuto forte, che potrebbe urtare la sensibilità del lettore.
Ti consiglio di evitare la lettura, se pensi che alcuni argomenti (relativi al rapporto conflittuale con sé stessi) possano turbarti. Per favore!


P l a y

This is the end.
Hold your breath and count to ten.

Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum.
Tu-tumTu-tumTu-tumTu-tum.

Un suono come di risucchio e un dolore straziante sono tutto ciò che odo, quando torno nel mio corpo. E una nenia di bambina frantumata.

No, no, no, no, no, no, no.
Non è possibile.
Non è vero.
Non è mai accaduto.
Non sta accadendo adesso.
Non è possibile.
Non è vero.
Non è mai accaduto.
Non sta accadendo adesso.
Non è possibile.
Non è vero.
Non è mai accaduto.
Non sta accadendo adesso.
Non è possibile.
Non è vero.
Non è mai accaduto.
Non sta accadendo adesso.
No, no, no, no, no, no, no.

Gli occhi sbarrati osservano il ventre vuoto del lavandino in ceramica — come l’ho raggiunto, non lo ricordo. Più in basso, le labbra schiuse rubano un’aria che non sazia i polmoni.

Tu-tumTu-tumTu-tumTu-tum.

Adesso lo sento, il mio corpo.
Sento, soprattutto, quello che vorrei fargli.
Stringo le dita contro i palmi e conficco le unghie nella carne.
Affondo, affondo, affondo. Più che posso, ancora, senza fermarmi.
Non è abbastanza.
Il rivolo di sangue che imbratta i miei polpastrelli e le mezzelune che solcano la carne ora viva non bastano a placare il mio bisogno di distruzione — di autodistruzione.
È troppo poco.

Alzo lo sguardo e lo punto sull’immagine che riflette il vetro della finestra.
Ecco, mi dico, questo potrebbe fare al caso mio.
Se lo rompessi con un pugno, potrei prendere una scheggia e usarla.
Per cosa?
Per ferirmi. Per farmi del male. Per darmi ciò che mi merito.
Potrei conficcarla nelle cosce a più riprese e guardare la pelle macchiarsi, il tessuto imbeversi, il pavimento sporcarsi.
Sì, sì, potrei.

Sposto l’attenzione su una delle ante della credenza.
Anche quella potrebbe andare bene.
Se ci sbattessi la testa ripetutamente, riuscirei a fracassarmi il cranio, a deturparmi il volto, a sfregiarmi per sempre la faccia di cazzo che mi ritrovo.
Sì, sì, potrei.

Gli… Gli in-incantesimi: ci sono anche gli incantesimi.
Incendio.
L’Incendio sarebbe utile per devastare.
Rimarrei seduta in silenzio a guardare il fuoco che divora la mia carne sporca, ad annusare il puzzo della pelle cedevole alle fiamme. Lo farei con meraviglia.
O ancora l’Exulcero, l’Ebublio, l’Antares.
Sì, sì, potrei.

“La signorina Morgenstern si è tolta la vita… È stata trasferita in Germania, presso la città natale e riposa nel piccolo cimitero di famiglia.”


Un conato mi sconquassa il petto, ma la mia bocca rimane secca, pulita.
È tutto fermo dentro il mio corpo e, allo stesso tempo, nulla cessa di muoversi.

L’immagine di Astaroth, imprigionata sotto la terra e mangiata dai vermi, ingenera un’altra reazione a scatto, che m’impone di piegarmi appena sul lavandino. I capelli pendono ai lati del mio volto, mentre do le spalle all’uomo e annaspo nell’incredulità.
La memoria muscolare si riattiva e percepisco un bruciore urticante al centro del petto e su fino alla gola, come se avessi urlato talmente forte da lesionare le corde vocali e quanto loro annesso. Un grido che rassomiglia allo strano squarcio di pensiero che mi ha invaso la mente, durante la conversazione con Grimilde.

Ruoto su me stessa con espressione invariata sul viso cereo.
Vorrei abbattermi contro il tavolo, staccarne un’asse e usarla per picchiarmi fino a rompermi le ossa.
Avrebbe dovuto continuare, il panettiere della mia infanzia, finché di me non fosse rimasta una sagoma immobile con gli occhi vuoti spalancati su una vita che non ho mai meritato.

O Dio, che cosa ho fatto?
È mia la mano che l’ha sospinta verso quel gesto e sono mie le impronte sulla sua lapide in Germania.
Sono un mostro, peggiore di quelli della mia fantasia e della realtà che ho voluto dipingere, distorcendola a mio favore.
Ho odiato così intensamente Dorian Hades Midnight per averlo percepito come una minaccia al nostro rapporto e, invece… Invece, viene fuori che lui fosse l’eroe, mosso dal disperato tentativo di salvarla.
Salvarla da me.

«Villa dei Gigli è mia» dico senza alcuna intonazione nella voce. Le mani, che ho inconsapevolmente nascosto nelle tasche posteriori del pantalone per proteggermi dal giudizio del signor Morgan, bruciano per un accenno di infezione. «Loro…» continuo e rivolgo un’occhiata alla porta che ci separa dall’ingresso, da Julian e da Grimilde. «Non hanno voce in capitolo su questa faccenda. Io sono maggiorenne e loro…» Un ghigno incolore è l’unico motivo che porta le mie labbra a ricongiungersi brevemente, allorché una verità non più amara risale la gola e si appropria della bocca. «Loro non sono la mia famiglia. Io sono orfana. Lo sono sempre stata.»

La lucidità che sfoggio è la sola arma che la mia mente conosca per respingere la realtà. Un velo di distanza è sopraggiunto a coprire l’immagine delle membra di Astaroth deturpate dalla putrefazione; a proteggermi dal bisogno autodistruttivo che ancora imperversa dentro di me e mi chiede di trafiggermi senza pietà.

«E ora ho una villa!»

Rido. Rido, poco ma rido.
E lo faccio in quel modo freddo che appartiene alle persone in frantumi che non sanno di esserlo. Mi accomodo sulla sedia dirimpetto a quella occupata dal ministeriale, la stessa che qualche minuto prima ha sorretto Julian.
Ho tirato le maniche del maglioncino in modo tale che coprano i palmi. L’unico segno che testimonia quello che ho fatto è la sfumatura di rosso che imbratta le unghie con cui trattengo il tessuto; ma potrebbe essere anche il residuo di uno smalto duro alla rimozione, per quel che può saperne Aurelius Morgan. I sentieri bordeaux che il sangue ha tracciato, scendendo lungo la ceramica bianca del lavandino, del resto, non sono esposti al suo sguardo.
Ripongo la linea della mascella sul palmo della destra e, nell’avvertire il dolore dovuto al contatto con la pelle lesa, premo più forte per acuire la mia sofferenza — sono impietosa e crudele, scientemente.

«Ci crederebbe se le dicessi che, da bambina, ero così povera da non potermi permettere di comprare da mangiare?» racconto con tono divertito ed espressione estatica. «E adesso ho… ho una fottutissima villa. Cielo, la vita è veramente una cazzo di barzelletta!»

Allungo la mano sinistra in direzione dei documenti, della cui esistenza mi sono appena ricordata. Do una rapida scorsa ad un foglio, poi alla planimetria di Villa dei Gigli. E rifletto sul fatto che quel disegno non le renda affatto giustizia: non mostra la bellezza elegante e immutabile delle sue colonne; la raffinatezza decisa dei marmi; l’incanto delle distese di gigli che oscillano al vento e sorridono, impudici, al sole.
Quelle che sto osservando sono solo linee, come quelle di Aurelius solo parole.

«Che succede adesso?»

Cosa volete che faccia?, vorrei chiedergli.
Che diventi la proprietaria di un immobile di cui non sono nemmeno vagamente degna?
Che mi atteggi a grande signora della dimora e mi ammanti del suo prestigio, nascondendo chi sono in verità?
Che prenda posto in una casa che ho ottenuto dichiarando il mio odio alla sua legittima proprietaria?

“Sei una bugiarda! Sei una traditrice! IO TI ODIO!”


Una vertigine mi induce ad abbassare per un attimo lo sguardo.
Fisso la superficie di legno del tavolo con un’urgenza irrefrenabile di abbattervi la fronte.
Desidero procurarmi dolore — dolore fisico.
Voglio sentire il crack delle ossa creparsi e l’intontimento del trauma cranico ottundermi i sensi. Nessuno a proteggermi e a consolarmi, non da me stessa ora che ho appreso la verità su di me.
“Oh, piccola Nieve! Non è colpa tua. Tu sei una brava bambina, ricordalo sempre. Non c’è nulla che non vada in te. Sei meravigliosa così come sei. Sei speciale. Le persone che ti conoscono davvero finiscono sempre e solo per amarti.”
Stronzate!
Ditelo ancora a questa Nieve, sulle cui mani scorre il sangue di un’innocente.
Se mi aveste lasciata morire, tutto questo non sarebbe mai accaduto.
Salvatori e anime pie del cazzo!
Nemmeno mia madre mi ha voluta. Mi ha lasciata sulla porta di una vecchina mezzo sciancata la notte stessa in cui mi ha partorita. Deve averlo capito da subito, con l’acume che hanno soltanto le madri, che genere di fardello fossi. E se n’è liberata prima che potessi nuocerle.
Brava, mamma!
Hai il mio plauso e la mia ammirazione.
Vorrei solo aver capito prima il senso della mia natura.
Mi sarei dovuta lasciare affogare nel lago della Foresta Proibita.
Mi sarei dovuta buttare giù dalla torre di astronomia.
Avrei dovuto lasciare che il freddo, la fame, la febbre mi prendessero
Avrei dovuto lasciare che il drago dei miei incubi mi masticasse e digerisse nel sonno e non svegliarmi mai più.
Avrei, avrei, avrei.
Potrei…

Il modo in cui fisso le venature del legno adesso — non più assorta e pensosa, con la mascella contratta dal bisogno di farmi a pezzi, ma confusa — implica che ho di nuovo trovato il presente. Solo con un ultimo sforzo disumano, la mia mente è riuscita a portarmi alla realtà prima che dessi seguito alla spinta che mi consuma da dentro.

«Che succede adesso?» ripeto, inconsapevole di aver già parlato, negli stessi identici termini. «Cosa vi aspettate che faccia?»

Una marionetta: è tutto ciò che posso essere al momento.
Se non fossero gli altri e muovere i fili che mi pendono sul capo, c’è un’unica direzione che potrei vorrei intraprendere.

O Dio, che cosa ho fatto?
Non merito salvezza. Non merito te.
Devo lasciarti andare prima che sia troppo tardi.
È per il tuo bene, lo giuro.
Non tornerò mai più, ma ti ho amato.
Sinceramente, con ogni fibra del mio essere, anche nella confusione, ti ho amato. Ed è proprio per amore che ti libero dalla mia presenza — hai già sofferto abbastanza.
Non vegliarmi più.
Non perdonarmi più.
Non aspettarmi più.
Non tornerò da te.
È troppo tardi per me. Lo è sempre stato.
Qualcun altro mi attende.


Un tintinnio lieve.
Il cadavere della collana che ho sempre portato al collo — il crocefisso inerme, abbandonato, insieme agli ultimi residui della mia Fede.

Ciao, Lucifero!
Scusa il ritardo...

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Edited by ~ Nieve Rigos - 14/3/2021, 10:36
 
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view post Posted on 28/3/2021, 21:10
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Skyfall


Ceramica infranta, diniego assoluto, dolore nascosto, urlato o a stento trattenuto.
Silenzio e rumore.
Disperazione e incredulità.
In vent’anni, vestendo i panni dell’uomo con la falce in una mano e un sacchetto di galeoni nell’altra, Aurelius ha visto di tutto. Ha assistito a faide familiari, pacifici accordi e a scenate di tragico dolore; eppure, mai ha visto il vuoto, la perdita, il lutto trasformarsi in immobilità e silenzio al contempo. Nessuno strepito scuote Nieve, che al contrario stringe i pugni con le nocche che sbiancano e si avventa sul lavello della cucina quale unico sostegno per quel genere di notizia. L’oscurità permea Londra, ormai, e il riflesso di Nieve si riflette sul vetro della finestra che le sta di fronte. I suoi contorni non sono nitidi, i capelli d’argento le coprono parte del volto e il suo corpo non si tende, quasi, per respirare regolarmente.
Nel suo mestiere, Aurelius ha imparato ad aspettare, poiché una parola detta nel momento sbagliato può causare molti più danni; quindi tace, accavallando una gamba sull’altra e concentrandosi su un filo della manica sdrucita del suo maglione scuro. Il polsino esce appena da quello del cappotto, semplice e comune, come quello dei Babbani tra cui si muove sovente. Inumidisce il polpastrello e torce il filo, proprio come sua moglie gli ha insegnato, finché quello non si arriccia e scompare - almeno per un po’ - dove nessuno possa vederlo. Un po’ come i palmi torturati di Nieve, che vengono sapientemente nascosti dal maglione che indossa.
«Il Ministero conosce la sua storia, signorina Rigos. La signora Del Vespro, tuttavia, al momento della scomparsa della signorina Morgenstern era la sua tutrice. Lo è stata fino a tre settimane fa.»
Nieve ha compiuto diciassette anni proprio poche settimane prima e questo l’ha resa un’adulta agli occhi della legge magica. Prima orfana, affamata e senza un abito buono. Ora maggiorenne ed ereditiera di una piccola fortuna. Com’era semplice cambiare la vita di un essere umano? E quanto poteva essere facile gettare qualcuno nel baratro della disperazione?
Aurelius scorge gli angoli delle labbra di Nieve arricciarsi e con un certo imbarazzo volge lo sguardo alle proprie dita, intrecciate in grembo. Non intende giudicare le sue reazioni, non potrebbe, eppure in qualche modo la osserva e si chiede perché questa ragazza, che ora ha tutto, sia ancora così danneggiata. Aurelius non sa delle privazioni, delle percosse e della Morte che accompagna Nieve. Non sa nulla di lei, eccetto quanto è riportato all’Anagrafe Magica, sui giornali dopo il Torneo Barnabus o quanto è stato in suo potere scoprire attraverso i Morgenstern.
«Non deve fare nulla, Nieve, nulla che davvero non desideri. Il Ministero le chiede soltanto di accettare o rifiutare quanto la signorina Morgenstern ha ritenuto di lasciarle.» qui, Aurelius tace e il suo tono si ammanta della gravità che l’uomo sensibile non riesce più a nascondere «Se davvero la vita è stata ingiusta ed ogni cosa accade per una ragione, io credo, allora si prenda qualche giorno per decidere. Venga con me a Villa dei Gigli, domani. Sono autorizzato a farle vedere di persona quanto ora è suo di diritto. Può accettare e tenere quanto le è stato donato oppure venderlo. Può anche decidere di non fare semplicemente nulla.» sospira e si appoggia allo schienale, cercando le parole più adatte per convincerla a compiere un passo che in molti non desiderano. Accettare i beni materiali significa accettare gli eventi. E non esiste un modo facile, veloce o indolore per sotterrare ogni emozione o ricordo. «Questo è il terzo tentativo che compio, signorina Rigos, e mi creda… desidero che questa faccenda si chiuda nel modo migliore per entrambi.»
Fa per alzarsi, abbottonando il cappotto e sistemandosi il bavero, prima, e la spilla a forma di ape, poi. «So che non ha sostenuto il suo esame per il Patentino di Materializzazione, perciò le consiglio di venire accompagnata dalla signora Del Vespro e da chiunque possa aiutarla a gestire… tutto questo. Confido di vederla, domattina, alle dieci e trenta presso Villa dei Gigli. Le porgo le mie più sincere condoglianze.»
Non le tende la mano, come farebbe di consueto, poiché giunti a quel punto le formalità sono superflue. Nieve si aggiunge impunemente alla schiera di donne e uomini che hanno avuto il piacere - e al contempo la sventura - di essere oggetto del suo lavoro.
Quando apre la porta, Aurelius trova Grimilde dinanzi a sé: le braccia conserte e l’espressione rigida del corpo, così come quella severa dei tratti del volto; Julian è in disparte, seduto sull'ultimo gradino delle scale che conducono al piano superiore, con la faccia di chi tema la tempesta che sta per abbattersi sulla sua casa, sapendo di non poter far nulla, se non pregare. La ragazza, alle sue spalle, è ancora lì come l'ha lasciata.
Quel quadretto racconta una storia che Nieve non ha menzionato del tutto. Mentre varca la soglia dell'abitazione, immettendosi nelle strade buie di una Londra quieta e silenziosa, Aurelius pensa a quanto quella famiglia è triste ed infelice a modo suo, come tutte le altre; ma questo - almeno - non è affar suo.


E siamo così giunti al termine della prima parte di questa piccola avventura.
Ti invito a chiudere questa parentesi con un post conclusivo che riassuma quanto più possibile ciò che può essere vitale per il prosieguo della narrazione.
Villa dei Gigli si trova ai confini della Scozia, dunque apriremo una discussione nuova - continuazione della seguente quest - affinché si possa giungere alla fine della procedura ne Il Resto del Mondo Magico. A tal proposito, attendo un tuo via libera per l'apertura.
Per qualsiasi necessità, sai dove trovarmi.

 
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view post Posted on 31/3/2021, 11:41
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This is the end.
Hold your breath and count to ten.

Rimango immobile e mi risolvo a tacere.
Per tutto il tempo che Aurelius Morgan impiega a fornirmi le ultime spiegazioni del caso e a congedarsi, mi rifugio in uno stato di immobilità apparente. Sotto la superficie placida che mostro al mondo, invero, si agitano pensieri ed emozioni che sfuggono al mio controllo e che mi tirano ora in una direzione, ora in un’altra.
Per un verso, mi anima il desiderio di metterlo a tacere e smentirlo: non c’è nulla da accettare o rifiutare, sebbene egli ne sia profondamente convinto. Villa dei Gigli appartiene ad Astaroth Morgenstern e sempre le apparterrà, non solo legalmente ma anche metaforicamente. Quel luogo dice di lei molto di più di quanto non potranno mai fare le parole ed è imbevuto della sua essenza in maniere che possono solo meravigliare.
Per altro verso, soggiaccio alla stessa tensione che è emersa nel momento in cui Grimilde mi ha dato l’annuncio e che, nel tempo del colloquio col Ministeriale, ha assunto nuove sfumature. Adesso, si fa portatrice di un’esigenza alla disperata ricerca di soddisfazione: avere la conferma empirica che Astaroth sia là, al confine con la Scozia, e che nessuna briciola di realtà sia racchiusa nelle sedicenti verità cui ho dovuto prestare orecchio.

Mi sembra che sia passata un’eternità, quando recupero il legame con il presente e sospiro.
Ania mi ha raggiunta e ha preso a sfregare il suo corpicino contro i miei polpacci. Percepisce che qualcosa non va, che il mio stato di salute sia pericolosamente in bilico su una sporgenza priva di appigli. E si propone di essere lei il rizoma tenace che sbuca dal terreno roccioso, pronto a soccorrermi alla prima avvisaglia di cedimento.
La sua presenza, per la frazione di un istante, mi restituisce un barlume di lucidità. Così, lascio pendere il braccio e le permetto di strisciare lentamente sul dorso della mia mano e di annusare sospettosamente le strisce ferrose di sangue che mi sono provocata. Un tuffo al cuore è ciò che mi dona averla accanto e, insieme, la sensazione di essere ancora umana, viva e non irrimediabilmente perduta. Vorrei chinarmi, prenderla tra le braccia, stringerla e inalare l’odore del suo corpo morbido. Se lo facessi, tuttavia, rischierei di veder crollare la barriera che la mia mente ha frapposto tra me e la realizzazione e, sono sicura, impazzirei.

Perciò, a malincuore, ritiro la mano e mi alzo.
Grimilde ha compiuto qualche passo in direzione della cucina, mantenendo le braccia incrociate sul petto. Nella cornice dei capelli corti, il suo viso si mostra corrucciato e nervoso. Com’è solita fare, nasconde con la rabbia e il fastidio ciò che prova realmente: terrore, angoscia, impotenza.
Non le permetto di trovare il coraggio di pronunciare parola.
Trascinandomi appresso il gravoso mantello di silenzio e turbamento che mi avvolge, percorro con andatura cauta ma decisa gli ambienti che mi separano dalla porta d’ingresso. Schivo Julian e lascio insoddisfatta la domanda che è riuscito a rivolgermi — “Dove stai andando, Nieve?” —, dopodiché abbandono quella casa improvvisamente fredda ed estranea e m’immetto nel freddo serale di Londra.

La mia bacchetta giace sul bancone della cucina, dimentica.
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