| Era tutto finito. Pix aveva levato le tende, con lo stile magnificente e caotico che lo distingueva. Il “POP” che aveva segnato l’uscita di scena del poltergeist era stata la ciliegina sulla torta, il sigillo alla sua ennesima performance eseguita di fronte, come sempre accadeva, ad un pubblico non interessato. Ironia della sorte, un rumore così fisico, che richiamava alla mente tutto ciò che di corporale poteva esserci nel mondo, era stato prodotto da qualcosa di incorporeo. Il suono, grottesco e quasi osceno, risuonò a lungo nelle orecchie di Caleb, anche dopo che la sua ultima eco si perse nel corridoio buio e deserto. Si alzò, guardandosi intorno e cercando senza successo alcuno di sistemare, con movimenti meccanici e frettolosi, i suoi vestiti stazzonati. Ripensò al colloquio avuto con Pix o, meglio, al confronto che aveva dovuto sostenere. L’eccitazione provocata in lui da quanto successo, la vergogna che ora provava per l’essersi esposto così tanto davanti a perfetti sconosciuti, l’ardore che lo aveva contraddistinto e che ora malediceva provocavano in lui un intenso bollore, che sicuramente gli stava imporporando velocemente le guance. Immerso in questi pensieri gli sembrò che Casey fosse comparsa al suo fianco all’improvviso, come se anche lei fosse un fantasma spuntato dal soffitto. Al vedere l’amica, la sua espressione preoccupata, Caleb ebbe un tuffo al cuore. Dopotutto teneva a lui, sembrava stupita e preoccupata al tempo stesso. Ritornava però, fastidiosa e prepotente, quella sensazione sgradevole, una fitta dolorosa che lo pungeva al pensiero di Casey e del Serpeverde, di quello che avevano passato insieme senza di lui, dei segreti che l’amica aveva e che lui non avrebbe mai potuto sondare. Aveva paura di tornare da solo, di perdere la sua compagna di avventura. Ma non era quello il momento per pensarci. Avevano affari più urgenti da sistemare. Sto bene, Casey...grazie. le disse, cercando di simulare una certa tranquillità che non possedeva affatto, in quel momento. Poi, con voce bassa quasi come un sussurro: Lo so, accidenti, lo so. E ora come facciamo con loro? Casey prese la parola e Caleb tornò al suo ruolo di osservatore, lasciando che l’amica gestisse le pubbliche relazioni con i due sconosciuti. Solo in quel momento realizzò che il ragazzo (come l’aveva chiamato Casey? Anderson o giù di lì) e la Tassorosso che sembrava rispondere al nome di Gwen dovevano per forza aver sentito tutto. Che fare? Di Gwen avrebbero anche potuto fidarsi. Era amica di Casey, era una Tassorosso e sembrava animata da sincera curiosità, non da malizia. Ma Anderson? *Digli di farsi una giratina, KC. Diglielo. Diglielo. Diglielo. Diglielo...ti prego!* pensò, mentre Casey spiegava che cosa stava succedendo. Ma quando sentì le ultime parole della ragazza e vide il suo sguardo verso la Serpe, come un’offerta che Caleb non sarebbe stato mai in grado di fare a colui che non conosceva e di cui quindi diffidava in automatico, sentì una corrente gelida percorrergli la schiena. Non ebbe il coraggio, tuttavia, di contraddirla. Non gli rimase altro da fare che dire loro quello che era già ovvio, date le circostanze. Potete unirvi a noi, se volete. Ormai sarebbe comunque tardi per tornare nei dormitori, tanto vale provare a investigare. Se non volete, almeno non fate la spia. La sua voce era incerta, aveva perso l’energia che aveva sfoggiato con Pix. Mentre attendeva un cenno dai nuovi arrivati, qualcosa attirò la sua attenzione. Per terra, vicino al Serpeverde, quella che sembrava una cuccuma stava borbottando, fischiando e tossendo come se fosse su un fuoco vivace. La guardò meglio. Gli ricordava qualcosa, a cui a prima vista non ero riuscito a dare un nome. Poi ci arrivò. Sembrava la lampada di Aladino. L’aveva vista in un libro illustrato che sua madre gli leggeva la sera, prima della nanna. Era dorata, dalla forma allungata e sinuosa, cesellata con una perizia e motivi che apparivano strani, esotici. Sua madre gli aveva detto che la fiaba di Aladino proveniva dal misterioso Oriente. Ma se quella era la lampada di Aladino allora dentro vi era un genio, che ora stava provando a uscire. Faticosissimamente.
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