| ELOISE LYNCH △ PREFETTO TASSOROSSO
Tolta la scomposta scivolata e l’atterraggio del Serpeverde sulla sua gamba, Eloise non si era fatta granché e, a sentire dalle sue imprecazioni, ad Elijah doveva essere andata peggio di lei. Solo dopo aver sollevato sul busto per assicurarsi che non fosse successo nulla di grave aveva notato che il peso sulla sua gamba si era affievolito, segno che il ragazzo si era risollevato a velocità lampo. A giudicare da come le loro voci avevano rimbombato nell’ombra, la rossa considerò che il cunicolo doveva essere parecchio lungo, e la strada che li attendeva non doveva essere poca. Quanto tempo ci avrebbero messo a percorrerlo per intero? Mezzora? Dieci minuti? Qualcuno avrebbe notato la loro assenza, o tra i vivi e i morti che bazzicavano per Hogwarts non c’era anima viva che badasse a loro? Ancora ingenua sotto tanti punti di vista, Eloise non riusciva a preoccuparsi per le conseguenze di quella gitarella notturna: neanche le passava per l’anticamera del cervello che sarebbe potuto succedere qualcosa di grave, che Hogwarts era sotto la loro responsabilità, o che qualcuno potesse accorgersi della loro assenza. Schermandosi dietro al fatto che il Castello era immenso, si diceva che una giustificazione sarebbe riuscita a trovarla, in caso di imprevisti. Non c’erano scrupoli di questo genere a solcare i suoi pensieri, perché il richiamo del mistero e dell’avventura esercitava su di lei un fascino troppo ammaliante ed irresistibile per poter dire di no. Davanti a quella ricerca, neanche il fatto di trovarsi in un buco sottoterra le generava problemi. Non era mai stata un’amante dei luoghi chiusi e angusti - e i recenti fatti di Atene non erano certo stati di aiuto - ma quando questi celavano un mistero, o esercitavano una funzione di suo interesse, o si nascondevano agli occhi dei più, non c’era claustrofobia che reggesse. Amava troppo quelle mura e quei passaggi per lasciarsi spaventare. «Non me ne parlare...» Le mura dei cunicoli gerosolimitani erano incise a forza nella sua mente, e la luce tremolante delle torce ancora le danzava in testa, come fosse un presagio di incubi orribili. La condizione in cui era arrivata in Infermeria, sorretta da Emily e trascinata di peso, era raggelante. Era rimasta scossa a tal punto che, se avesse percepito una scossa di terremoto, avrebbe preso in considerazione di tornare sui suoi passi, tanto era rimasta colpita da quello che l’aveva sepolta in quella torbida avventura. Avrebbe voluto dire qualcosa per sdrammatizzare, ma per un istante boccheggiò, alla ricerca di aria. Non era del tutto sicura di essere pronta a farlo, e il contesto in cui si trovava non era d’aiuto per trovare un appiglio e combattere quelle memorie oscure. I suoi occhi si spalancarono al pensiero che quella dannata tomba sotterranea potesse inficiare in qualche modo il suo rapporto con i passaggi segreti, ma ancora non riusciva a trovare qualcosa su cui scherzare. «Il mio gruppo è finito...» Esitò per qualche istante, concentrando su ciò che c’era di positivo in tutto quello: almeno non avevano trovato creature pericolose come le bestie citate da Elijah. «… Sepolto vivo un attimo prima di riuscire a raggiungere i Ribelli, o comunque andare avanti ed entrare in Gerusalemme...» L’idea che Elijah potesse essere nel suo stesso cunicolo di Gerusalemme non l’aveva sfiorata neanche per un istante, almeno nel momento in cui gli eventi erano stati appena rispolverati. Il terreno sconnesso e il percorso a zigzag le permisero di concentrarsi su qualcosa di più concreto di quei tentacoli, spingendola a celare i fantasmi in un angolo recondito della sua mente e fornendole un aggancio per riprendere il discorso di poco prima. «Oh, sì. Sono piuttosto integralista a riguardo.» Sogghignò, grata di potersi concentrare su altro. Si abbassò per superare il masso sporgente sopra la sua testa, mentre il rimbombo dei loro passi ancora echeggiava nel corridoio. La prospettiva che Elijah aveva messo sul tavolo era allettante, ed Eloise non escludeva che - anche se si considerava un’esperta in materia - il libro della sorella potesse fornire appigli validi tanto quanto quello che stavano vivendo. Pur avando visto che il Serpeverde era un tipo irrequieto, da saper trattare e decisamente puntiglioso, la serata si stava rivelando piacevole. La ricerca, che era l’importante, stava procedendo al meglio. «Ci sto.» Affermò, senza rifletterci troppo a lungo. «Però cercheremo passaggi diversi da quelli che conosco già, sono sicura che non ce ne sono a sufficienza.» Se avesse diretto il Lumos verso la sua faccia, Elijah si sarebbe accorto che stava sorridendo soddisfatta. Non si accorse che il ragazzo si era fermato davanti alla salita finché i suoi piedi non urtarono verso qualcosa di duro. Abbassando lo sguardo, aiutata dalla flebile luce della bacchetta del Serpeverde, vide che da quel punto partiva una lunga scalinata, di cui era impossibile distinguere la cima. Apparentemente, dietro o sotto di essa il passaggio finiva: quella era la loro unica strada. Curiosa di scoprire cosa li attendeva, tornò ad aprire il cammino, salendo lungo quella scalinata. Dieci, venti gradini. Cinquanta, e ancora non si scorgeva niente dell’arrivo.
△
|