| Dopo essersi sollevata trotterello in direzione della propria sacca, afferrandola con un gesto plateale, chinando solo la schiena in avanti e lasciando che la gonna della tunica salisse pericolosamente lungo le proprie gambe, per poi, una volta indossata a tracolla tornare sui propri passi, osservando i goffi tentativi di lui di sollevarsi. Le sarebbe piaciuto davvero legarlo come un salame fino al mattino successivo, ma con il clima inglese e l’alcol in corpo, avrebbe rischiato l’assideramento e non poteva rischiare di perdere subito quell’amico ritrovato. Se ne stava quindi con le mani strette a pugno sui fianchi, le gambe leggermente divaricate, un sorriso terribile sul volto e in testa, una miriade di ricordi avviluppati in arazzi verdi argento: ogni angolo del castello era il suo parco giochi ma era solo nelle mura della casa comune che i freni inibitori cadevano senza ritegno. Ricordi piacevoli, che muovevano impulsi quanto mai animali, fu forse per questo che affollò lo spazio della scatola cranica di domande che gli voleva porre ma che non si sarebbe mai azzardata a fare, dopotutto nel loro rapporto non vi erano mai stati quesiti assurdi e malinconici pensieri, era tutto azione e vita, e un incredule complicità. Poi era troppo sbronzo per darle risposte sensate
-Urgh, non proprio un primo piatto degno di un Von Kraus…-
scosse il capo con una faccia quasi di disprezzo per accompagnare il commento appena affatto, avanzando, una volta che lui si fosse messo in piedi in direzione del suo medesimo albero. Le mani andarono a congiungersi dietro la schiena, la spalla destra e la testa, ad appoggiarsi al tronco, osservando nei riverberi di una prima luna che era orami sorta, il di lui volto diafano contorto in quella risata che era eco di tante altre, sorridendo di rimando a quel modo di fare. La presa delle mani venne poi sciolta, la sinistra allungata verso di lui, verso la camicia sbottonata cercando di pulirlo dal terriccio in eccesso nel quale si era rotolato, intravedendo probabilmente l’ombra di un qualche tatuaggio, tirando poi con delicatezza un lembo della blusa bianco scura.
-E quando mai ci siamo andati leggeri?-
ridacchio anche lei, avrebbe bevuto in ottima compagnia quella sera ma prima di tutto, voleva altro. Cosi tirò nuovamente un lembo della sua camicia, voleva la sua attenzione, aggrottando le sopracciglia e compiendo una lieve torsione del bacino, usando l’albero come perno, nel tentativo di dargli una leggera spallata con il lato sinistro del proprio corpo
-Comunque non mi hai ancora salutato come si deve…-
borbottò, con fare corrucciato, gli occhi nocciola piantati sul volto di lui, accarezzando con il dorso della mano sinistra i lembi di pelle che la camicia sbottonata donava all’aria aperta.
|