O Ermione. Odi?

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~ Nieve Rigos
view post Posted on 26/7/2019, 15:31 by: ~ Nieve Rigos     +4   +1   -1
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entropia.

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Sei mesi fa avrei pianto per il modo in cui mi hai parlato ieri sera.
Per il modo in cui — inconsapevolmente, lo so — hai tentato di sminuirmi.
Per i sentimenti che ti ho visto dipinti in volto, simbolo di un'ingratitudine che non mi merito.
Avrei pianto anche quattro, tre, due mesi fa. Forse perfino uno.
Ma non ieri, non oggi.

Se avessi anche solo vagamente idea di quello che ho passato e sto passando a fasi alterne, non avresti reagito così. O forse sì e, allora, poco importa. Ma non lo sai perché io ti ho protetta con l'ostinazione che solo io so dimostrare; perché ho finto per alleggerire i tuoi affanni e, da ultimo, mi sono anche schierata davanti a te per pararti dagli ultimi colpi della vita. Lo rifarei infinite altre volte, pur sapendo a cosa andrei incontro; pur avendo piena cognizione della brutalità dell'urto e, soprattutto, del dolore che viene col frantumarsi quando sei già a pezzi. Ma non piangerò più, sentendomi delusa dalla tua incapacità di rispettare, prima ancora che capire, questa parte di me.
L'unico momento in cui mi si è stretta la gola non lo imputo a te. È stato sentire Danilo prendere le mie difese a farmi vacillare, in preda alla commozione. "Forse tu non te lo ricordi, ma quella sera la frase che ho ripetuto più spesso è stata 'Dov'è Erika?' perché continuava a sparire durante la cena" ha detto e potrei piangere perfino adesso solo a pensarci, se non mi mordessi il labbro così forte per trattenermi. Mentre avevo di fronte un muro di rabbiosa incomprensione — tu, che provi rabbia verso di me, è l'emblema di un'irriconoscenza che non voglio rinfacciarti, perché non sono quel genere di persona; perché mi farebbe male vederti stare male; perché il rancore è un diserbante che uccide ciò che è vivo e nutre le erbacce e io non voglio che calcifichi nel mio cuore — e provavo a farti capire come stessi con una flemma che non so nemmeno spiegarmi, Danilo esprimeva per l'ennesima volta il suo supporto senza farmelo notare. E mi ripeteva, a modo suo, quello che già gli ho sentito confessarmi: "Io non ti capisco sempre, perché non ho passato quello che hai passato tu, ma ci voglio provare lo stesso".
L'ho ricacciato giù, il nodo, e ho continuato con la stessa pacatezza.
Ho cercato il tuo sguardo non per scagliarti contro il Kraken, che mi ha lasciata condurre il gioco ora che, poco alla volta, stiamo imparando a parlarci e a capirci; a fare lo sforzo di non pretendere dall'altro qualcosa che non può darci e di dirci la verità, anche urlando di disappunto se necessario.
L'ho cercato perché volevo che vedessi chi sono diventata, adesso che sto riscoprendo la tempra che per almeno due anni ho smarrito nell'oblio del tormento. Volevo che scorgessi nei miei occhi la risolutezza che mi ha concesso di raggiungere un risultato dopo l'altro, pur nella baraonda della battaglia coi miei demoni e nell'assoluta assenza di punti cardinali.
Soprattutto, volevo che ti rendessi conto di quanto fiera sia di me stessa.
Perché lo sono, tantissimo.
Quindi, di ieri sera, è questo che voglio portarmi dentro e ricordare: la consapevolezza che ci sia qualcuno disposto a vedermi e capirmi, anche quando la faccio difficile senza volerlo o controllarlo; e la certezza di essere sulla giusta via. Poco importa che abbia le ginocchia e i gomiti sbucciati, le scarpe mezzo rotte e le giunture che dolgono. Ci vorrà più tempo, ma arriverò alla meta. E il rancore e la delusione li voglio lasciare sul ciglio della strada dove ci siamo incontrate ieri sera, sperando di rincontrarti più avanti e di ottenere da te qualcosa di diverso; qualcosa che renda il mio viaggio più semplice e la sosta piacevole.
Intanto, nel silenzio che ci stiamo scagliando addosso, spero che tu lo senta.

Che sono fiera di me e che sto imparando a volermi di nuovo bene.
 
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