| Scheda ◊ Thalia J. Moran ◊ Prefetto Tassorosso La sua affinità con il mondo animale aveva subito bruschi cambiamenti nel corso di quei primi sedici anni di vita. Non amava particolarmente accerchiarsi di piccoli compagni di giochi di cui doversi occupare. Odiava persino l'idea che un essere vivente appartenesse ad un altro, come se il fatto di nutrirlo o fornirgli rifugio bastasse a garantirle il privilegio del possesso. Non si trattava di ribrezzo o fastidio, quanto più di staccarsi dall'entità viva e libera, lasciandola prosperare autonomamente. Questo, per lo meno, si applicava alla maggior parte dei casi. Come molti altri studenti, anche lei possedeva una civetta: Clio, un nome di origine greca che subito, non appena i suoi occhi grigi si erano posati su quelli azzurri dell'animale, le era affiorato alla mente e sulle labbra. Il suo rapporto con il rapace subiva l'altalenante umore dell'irlandese; d'altro canto, Clio non si esimeva mai dal beccarle le dita qualora le ricompense fossero ingenerose secondo i suoi standard. Nonostante ciò, la civetta incontrava la sua approvazione, forse perché consegnare una lettera di tanto in tanto era un piccolo prezzo da pagare a fronte della libertà della Guferia e delle notti di caccia. I gatti, nonostante le più buone intenzioni della ragazza, non sarebbero mai e poi mai rientrati nelle sue grazie. Nessun trauma infantile avrebbe potuto giustificare la diffidenza reciproca intercorsa tra un felino e la Tassorosso: la sua opinione riguardo quel genere di animali sembrava insita nel suo codice genetico, come se di fatto non potesse farne a meno e fosse un istinto atavico, qualcosa che proprio non poteva esimersi dal provare. Persino Matisse, il micio evocato con la magia dal cugino Desmond e donato alla sorella Fiona, non incontrava la sua benevolenza. Nemmeno in quel caso, dunque, il suo cuore si lasciava conquistare dai teneri miagolii - per lei fastidiosissimi come unghie sulla superficie di una lavagna - e dal piccolo corpicino che sinuosamente si strusciava tra le caviglie elemosinando una crocchetta o altro di commestibile. Fiona la considerava insensibile, ma tutto ciò che la Tassorosso poteva addurre a propria difesa era la semplice constatazione dei fatti: non esisteva una soluzione al problema, tanto valeva accettarlo senza crucciarsi troppo. Per tale ragione, quindi, si stupì nell'osservare la spontaneità di Nieve ed il cambiamento nel suo atteggiamento. Era possibile che in qualche angolo oscuro della propria anima, la Grifondoro serbasse la minima traccia di tenerezza? Nel procedere silenziosamente l'ultimo tratto, si era fatta l'idea che la piccola dovesse essere cresciuta sola in un mutismo pressoché perenne. Non che fosse stranamente taciturna in modo inquietante, ma l'idea che il Prefetto si era fatta della collega era piuttosto di una bambina sola, abituata a risolvere per conto proprio i piccoli problemi della sua giovane vita, senza una sorta di guida a supportare il suo operato. Per quanto poteva saperne, poteva essere orfana o cresciuta chissà dove in una famiglia numerosa al punto tale da non essere considerata da nessuno dei propri parenti. Di famiglie numerose, in fondo, ne sapeva parecchio. Continuò a tacere, predisponendo nuovamente il guanto metallico al proprio posto, come se quel simulacro di epoche passate potesse soffrire di quella separazione involontaria dal proprio arto. Scorse appena la macchietta rossiccia sgattaiolare via, veloce come il vento, e si fece da parte per permettere alla Grifondoro di issare l'elmo là dov'era preposto.«Spiritosa...» - commentò sardonica, abbozzando una smorfia mista tra il divertito e l'offeso. Horus non avrebbe saputo che farsene di un gatto malandrino e, di certo, non si sarebbe permessa di acciuffarlo per la collottola trascinandolo dal suo Caposcuola. Brior, d'altro canto, in un eccesso di cavalleria avrebbe cercato in tutti i modi il padrone del fuggiasco, nel suo classico stile d'altri tempi.«Tu guarda, un minimo di tenerezza.» - disse poi, rivolgendosi a lei in tono pacato e sereno, cercando con lei il contatto visivo. La ragazzina aveva un caratterino non indifferente, qualcosa di paragonabile alla fiamma di una candela che, sospinta dal giusta brezza, poteva incendiarsi ancor di più oppure spegnersi improvvisamente. Entrambe le ipotesi si erano verificate a distanza di pochi minuti, un fatto che la Tassorosso non aveva certo dimenticato od ignorato. Se c'era qualcosa che non le sfuggiva, di certo si trattava dei subdoli messaggi non verbali, lievi impulsi che il corpo involontariamente inviava al mondo esterno: l'aveva imparato minimamente da suo nonno - per essere esattamente come lui di strada bisognava ancora percorrerne parecchia - un uomo ed un mago estremamente abile, capace di scorgere una bugia solamente grazie ad un dettaglio in apparenza insignificante.«Mi incuriosisce sapere chi sei, Nieve.» - ammise iniziando ad incamminarsi, interrompendo quell'affermazione e tornando ad osservarla nuovamente, questa volta assumendo un cipiglio curioso - «Ora che ci penso non so nemmeno quale sia il tuo cognome.»Non che si trattasse di un'informazione fondamentale, ma a giudicare dalla spilla sul petto, avrebbe fatto bene a conoscere i dettagli di ogni studente che le fosse capitato a tiro, a partire da un indizio basilare che, forse, le avrebbe dato un'idea dell'origine della ragazzina.«Di me, in fondo, sai giusto il necessario.» - concluse, abbozzando un sorrisetto che nulla aveva dell'atteggiamento sardonico di poco prima. Aveva recitato la parte della sorella maggiore all'inizio, poi quella dell'adulto - o presunto tale - di fronte ad un possibile pericolo. Ora interpretava se stessa: una sedicenne, forse troppo, curiosa.
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