Stella dell'Eire, Privata

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view post Posted on 26/8/2016, 14:07
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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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Realtà e finzione. Il confine tra le due era sottile e, in quel preciso momento, il suo unico interesse era quello di scoprire in quale delle due dimensioni si trovasse. Era convinta di aver cominciato una giornata come tante altre: alle spalle una nottata disturbata da incubi orribili, una colazione insipida e una lunga giornata di lezioni sfiancanti. Persino Pozioni si era rivelata vagamente noiosa quel giorno, sebbene fosse una delle sue materie preferite.
Realtà e finzione.
Quante volte si era chiesta - ascoltando le fantasiose e divertenti storie di nonna Martha o quelle a sfondo morale di Shyneid - se vi fosse della verità dietro quelle trame sottili e ben congeniate.
I suoi ricordi in merito sfumavano sempre in visioni di un tempo passato, nel quale i sorrisi di una delle due anziane donne colmava le pause necessarie a creare la suspence per il momento successivo. E mentre lei e le sorelle ascoltavano quelle storie, espressioni di stupore o paura si impadronivano dei loro volti e quelle sensazioni finivano dritte al cuore, facendole sussultare per una porta chiusa con violenza o un cigolio sospetto proveniente dalla stanza accanto.
Ora, in quella Torre così lontana dalla Sala Comune di Tassorosso, provava le stesse sensazioni e le medesime espressioni animavano il suo viso. Lo sguardo attento, seguiva i movimenti del ciondolo, così come il passaggio delle dita di Oliver Brior sul metallo di quel dono per il suo dodicesimo compleanno. Osservandolo, non poté evitare di ripensare alla prima volta in cui il Caposcuola lo vide, appeso al suo collo e posato delicatamente poco più in basso rispetto all'incavo tra le clavicole. Non aveva compreso quale fosse il problema, ma aveva promesso di fornirle qualche spiegazione in più, in un altro momento e così stava facendo, finalmente.
Conosceva, naturalmente, il significato di quel ciondolo. Sua madre si era espressa chiaramente in merito. Protezione. Questo era il significato di quel simbolo. E a quella forza si appigliava ogni notte, risvegliandosi madida di sudore e spaventata per quelle visioni oniriche. Stringeva quel ciondolo, ferendosi quasi, per la forza impressa su quel metallo ricurvo.
Tuttavia, per quanto fosse svelta di mente, ancora le sfuggiva il senso delle parole di Oliver. Passato, presente e futuro.
Futuro che diventa presente e presente che diventa passato.
Parole incomprensibili per la sua mente già stravolta dalla serie di eventi in rapida successione e di difficile comprensione.
Passato, presente e futuro.
Sembrava un ritornello stonato, paragonato alle parole pronunciate poco prima da una Voce ignota. "L'Orma da lontano passato" sarebbe tornata, così aveva detto. Ma chi era? E perché avrebbe cambiato il futuro della sua famiglia? Passato e Futuro si univano, si mescolavano e si dilatavano nei suoi pensieri, senza che una connessione logica fosse possibile.
Oliver parlava di Tempo, un tempo cronologico e preciso. Razionalmente parlando quel Tempo era il "suo" tempo, ma anche quello di Oliver. Non era forse così? Perché, allora, affermava di vivere un tempo diverso? Che cosa nascondeva?
Cosa succede se il tempo non segue un ordine?

«Il Caos.»
Fu un semplice sussurro il suo. Una risposta immediata e semplice, ma complessa più di quanto avrebbe voluto ammettere. Con tutta probabilità, Oliver stava cercando di spiegarle che cosa fosse accaduto poco prima in quell'ala deserta del Castello.
"Futuro o Passato? Presente prima del Passato? E se fosse il Futuro nel Presente?"
La Voce - come aveva scelto di definirla nel modo più generico possibile per distanziarla da quella figura amica e fraterna - era questo: un canale diverso secondo cui Oliver seguiva eventi di ogni genere, incluso il Destino della sua famiglia. "La famiglia dei Moran sarà straziata per sempre." era un esito chiaro, fin troppo per essere ignorato. Ed Oliver sapeva. O forse no?
Rifiutava di credere che quella realtà fosse reale e non fittizia, che Oliver possedesse quel "dono" e non fosse in grado di controllarlo. Come poteva vivere consapevolmente se, per metà del proprio tempo, avrebbe decretato la fine o l'inizio di un evento senza sapere di averlo fatto davvero? Oliver sapeva e, paradossalmente, non sapeva. Aveva pronunciato quelle parole, ma non ricordava di averlo fatto. Sapeva di averlo fatto, ma non riusciva a richiamare a sé quelle frasi funeste. Eppure erano uscite dalle sue labbra. Come poteva non ricordare?
No, la sua mente rifiutava quella versione dei fatti. Oliver era lì, di fronte a lei, così come il giorno in cui si conobbero, coi suoi modi galanti, il sorriso sincero e lo sguardo vivo. Come poteva mentirle o omettere ciò che era accaduto?
Caos. Era la parola chiave per comprendere l'atteggiamento di Oliver.
Abbassando il capo, sganciando il proprio sguardo da quello di Oliver, comprese o credette di comprendere ciò che il Caposcuola cercava di dirle: non controllava il suo "dono". Il Caos regnava sul tempo di cui lui aveva fugaci visioni, sprazzi di vite spezzate - quelle dei suoi famigliari - di cui lui, Oliver Brior Caposcuola Grifondoro, non avrebbe ricordato nulla. Solo la Voce le avrebbe potuto dare delle risposte, ma aveva la vaga impressione che la Voce non comparisse a comando. E dove avrebbe potuto trovare le risposte che cercava?

«Cosa stai cercando di dirmi, Oliver?» chiese, fingendo di non comprendere pienamente le sue parole. In fondo al suo cuore albergava ancora la speranza che il suo fosse stato uno scherzo di pessimo gusto, magari un modo come un altro per prendere in giro la sua estrema razionalità. Perché tutto ciò non poteva essere vero. Non poteva e basta.




 
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view post Posted on 26/8/2016, 19:35
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Tacque un solo istante.
«Il Caos» ripeté, dunque, con un altro sussurro di voce. Nella sua mente apparvero tante immagini, l'una diversa dall'altra, ma tutte controllate come non mai. Avrebbe potuto selezionarne una per osservarla da vicino, fermandola davanti al suo sguardo, quello interno alla sua testa, per poi spogliarla di qualsiasi dettaglio superflui. Occhi della mente, avrebbe detto sua madre. Occhi che tendevano a nascondere la verità, fuggendo via dal suo immane potere. Annuì una sola volta, il cenno del capo scandito al pari di una sillaba, mentre la mano destra si avvicinava a quelle di Thalia, invitandola a prendre il simbolo che ancora stringeva e che in quel momento aveva finalmente liberato dal suo stesso palmo. Come avrebbe potuto spiegare il tutto senza risultare privo di senno? Non era un folle. Di certo non lo era per la maggioranza degli abitanti del castello di Hogwarts, sebbene sia suo cugino sia qualche compagno di dormitorio non fossero dello stesso parere. Il solo pensiero di Fabio Falkhart che commentava la sua Veggenza, in effetti, aveva una sfumatura di ironia non indifferente. Come avrebbe reagito l'amico? E Thalia, lì di fronte con quel tramonto a picco una volta e per tutte, invece? Lei come avrebbe interpretato le sue parole? Intelligenza. Quella fu la prima caratteristica della Tassorosso che aveva colpito Oliver, durante il loro primo incontro. Aveva compreso, da un'unica attenta analisi, chi potesse essere quel Grifondoro piombatole contro su un monopattino senza controllo: uno studente, poco ma sicuro, eppure anche di una classe maggiore, di nobili natali e di modi comportamentali non indifferenti; aveva considerato il suo accento, a dispetto della dizione perfetta del rampollo Brior. Affabilità, era stata la seconda dote manifestata da Thalia agli occhi del Caposcuola. Gentilezza, la terza. Non capitava tutti i giorni di non essere schiaffeggiato da una donzella investita pienamente, no? L'adepta di Tosca aveva messo da parte qualsiasi reticenza legata alla sua caduta, alle presunte ferite e alla borsa gettata a metri di distanza al seguito dell'impatto. In quella giornata piacevole di un'Estate ormai troppo lontana, l'erede dei Moran aveva sorriso a quel Brior stravagante, conquistando la sua simpatia fin dal principio, fin dalla prima impressione. Sarebbe cambiata l'interpretazione di Thalia nei suoi confronti, adesso? Cosa riservava il Futuro? La domanda lo fece sorridere, inconsapevolmente. «Hai già capito, Thalia» pronunciò il suo nome, alla fine della semplice frase, senza etichetta alcuna da fare da contorno. Thalia, quel nome che affondava le sue radici nella mitologia greca. Colei che è festiva, colei che passeggia sull'edera, colei che vive la Commedia e i suoi palcoscenici. Era forse quella la recitazione che Oliver fosse stato costretto a donarle? Sincerità. Avrebbe dovuto offrirle quel valore prima di qualsiasi altra cosa. Lo meritava, non era ancora scappata via, qualcun altro l'avrebbe fatto. Quasi nessuno amava la confusione o la paura dell'ignoto. «Mia nonna Adeline ha un amuleto come il tuo, una Stella dell'Eire che indossa anche con altre collane e gioielli, nascosto sul petto al di sotto dei vestiti. Anche per lei questo simbolo indica protezione, ma... una protezione diversa, Thalia. Energia contro energia, ecco, tutto risiede nel ciondolo. E metaforicamente, lo blocca, lo disperde. Il Tempo sembra essere controllato, se l'Eire resta fermo». Sollevò le mani, i palmi aperti di fronte lo sguardo della fanciulla. I suoi capelli rossi, notò Oliver, sfumavano meravigliosamente con il tramonto calante. E lui, invece, cos'era senza luce? Non aveva risposte, non di quel tipo. Altre, purtroppo, stavano prendendo vita. «Io non ho protezione, invece. E il Futuro mi investe senza che possa controllarlo. Spesso anche inconsciamente.»


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:10
 
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view post Posted on 27/8/2016, 17:10
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Il contatto con il metallo del ciondolo la portò a spostare l'attenzione, ancora una volta, sulle linee curve che lo componevano in ogni sua parte. Ogni linea riportava al centro esatto di quella piccola opera d'arte che per lei aveva assunto un tale ed importante valore simbolico ed affettivo. E, così come le curve conducevano al medesimo punto, così i suoi pensieri tornavano a vagliare la realtà circostante, cercando di coglierne il senso e la portata.
Suo nonno, uomo di raffinata razionalità, ammetteva che spesso le situazioni non fossero del tutto bianche o nere, ma che esistesse una serie di gradazioni intermedie entro le quali era difficile collocare il proprio pensiero. In quel frangente, con gli occhi cerulei puntati sul ciondolo, dovette ammettere che Connor Moran possedesse non solamente una cruda - e talvolta cieca - razionalità, ma anche e soprattutto un'apertura mentale rivolta alle possibilità. Credeva di somigliargli, lo aveva sempre pensato. La sua compostezza e rigidità nel considerare la consequenzialità di causa ed effetto l'aveva indotta erroneamente a pensare di essere più simile all'anziano patriarca della famiglia Moran, piuttosto di ritrovare una similitudine nella beata innocenza di Shyneid O'Byrne. Ora, però, constatava con estremo stupore - e una punta di delusione - di essere diversa persino da quella figura maschile così importante per lei. Connor possedeva un'elasticità mentale che lei, ancora, non aveva sviluppato.
Portando lo sguardo su Oliver, si chiese se non fosse giunto il momento di abbandonare gli sciocchi preconcetti di cui si era sempre fatta scudo, cercando di aprire la propria giovane mente ad un mondo ricco di possibilità.
Oliver, nella sua figura distinta ed elegante, i suoi modi altalenanti tra raffinatezza e vivacità, ora le appariva sotto una luce diversa, come se lo vedesse davvero per la prima volta. Giunse a considerare l'idea di aver conosciuto, fino a quel momento, solamente l'involucro e non il reale contenuto. Quanto c'era, dunque, di reale? Fin troppo, avrebbe risposto il buon senso. Gli avvenimenti di pochi minuti prima confermavano la tesi secondo cui il Grifondoro non sarebbe stato semplicemente un ragazzo di quindici anni qualunque, insignito del ruolo di Caposcuola e rampollo di una benestante famiglia magica. C'era di più, sotto la superficie celata da comuni abiti, movenze e comportamenti dettati dal galateo. Esisteva ben altro dietro quella personalità così viva e, a tratti, imprevedibile.
Imprevedibile. In quel momento sembrava l'aggettivo più adeguato per descrivere il giovane mago, ancora in piedi di fronte a lei. Le aveva fornito una criptica spiegazione che perfino il più stolido essere umano avrebbe compreso: Oliver Brior, Caposcuola Grifondoro e studente modello, era un Veggente. Possedeva un dono così grande ed incontenibile che si trovò costretta ad ammettere di non volersi mettere nei suoi panni. Era dunque possibile che alcuni maghi potessero predire il Futuro? Viaggiare con la mente, o meglio la Vista, lungo il sinuoso binario di eventi intoccabili se non in quel modo riservato a pochi Eletti?
Per un istante Oliver le trasmise una sensazione di paura che cercò di non far trasparire dallo sguardo né da un improvviso tremolio delle mani. Era possibile che un giovane come lui potesse portare un fardello simile? Aveva visto che cosa accadeva a quelli come lui: la debolezza di essere accasciati sul pavimento prima e dopo l'enunciazione della profezia. Oliver, così coraggioso ed impavido per natura, messo al tappeto da un Dono non richiesto, un mare di possibilità che avrebbe potuto spaventare chiunque.
Riportò lo sguardo al ciondolo, prima di spostare i capelli rossi sul lato sinistro del collo e indossare nuovamente quel particolare oggetto. Sembrava che si fosse appesantito all'improvviso, portando con sé tutte le preoccupazioni del Grifondoro e della Tassorosso insieme. Timori diversi, i loro, eppure uniti dalla Sorte. Un Fato reale che si sarebbe rivelato in tutta la sua gravità in un punto imprecisato del futuro e avrebbe causato danni inimmaginabili.
Considerò quel fattore per ciò che era, cancellando la paura dal suo cuore e provando a vedere, per la prima volta, l'utilità di quel Dono mostratosi a lei inaspettatamente. Grazie ad Oliver, aveva avuto l'occasione di sbirciare nel futuro, di cogliere le avvisaglie di eventi funesti che da lì in poi avrebbe, probabilmente, dovuto affrontare. Senza la profezia, avrebbe tralasciato numerosi dettagli, non avrebbe colto i segnali che le avrebbero permesso, forse, di ribaltare quella sentenza già scritta. L'avrebbe assunto come l'obiettivo della sua vita, per quanto le sarebbe stato concesso, e avrebbe fatto qualunque cosa dal quel momento in avanti per rovesciare le sorti della propria famiglia. Mai il motto dei Moran sarebbe stato colto nella sua perfezione.

*Lucent in tenebris...Lonraíonn siad sa dórchadas.*
«Dici di non aver protezione...» mormorò alla fine «...e forse hai ragione. Se quello che mi stai dicendo è vero... » aggiunse in fretta, sollevando lo sguardo su di lui «...allora credo di doverti dire una cosa.»
Non dubitava di vedere un'espressione sorpresa dipingersi sul viso dell'amico. Quella frase lasciava spazio a miliardi di congetture, una più probabile o improbabile dell'altra, ma certamente Oliver non avrebbe saputo - almeno in quel caso - che cosa aspettarsi.
Si alzò, non preoccupandosi di rassettare l'uniforme, lisciandone le pieghe. Mosse un passo verso di lui e il suo viso, dapprima serio, abbozzò un sorriso sincero.

«Io ti credo. Mi è difficile pensare che tu... che tu possa "vedere" cose che io non posso né potrò mai vedere.» esordì, portando la mano sinistra ad afferrare il polso del giovane mago «Ma ti giuro, Oliver, che non sarai solo. Forse queste... forse queste visioni ti getteranno a terra o ti daranno le vertigini com'è accaduto oggi. Però sono in debito con te e per quanto sia difficile credere che il mondo non sia solo ciò che posso vedere e toccare, non ti lascerò solo. Se e quando ne avrai bisogno, potrai contare su di me. È una promessa.»
Credeva fortemente nel senso di quelle parole e si stupì di come fossero risultate naturali e spontanee, anche dopo un pomeriggio denso di sorprese come quello. Era riuscita a scendere a patti con la propria razionalità e, forse, non esisteva traguardo più soddisfacente.




 
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view post Posted on 3/9/2016, 11:55
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Attese una manciata di secondi, giusto il necessario per permettere alle sue parole di fare breccia nel cuore di Thalia Moran, oltre che nella sua mente. C'erano state diverse occasioni, già in passato, durante le quali Oliver aveva avuto modo di stimare maggiormente la Tassorosso che ora aveva di fronte; aveva imparato a conoscerla, ma aveva appreso anche quanto fosse difficile sondare il suo spirito rispetto a tante altre persone con le quali aveva scambiato poche e significative chiacchiere. Era l'erede di Adeline Brior, la nobile Strega senza titoli ufficiali nel Mondo Magico, come per legge ministeriale, eppure con una fama ed un'eleganza tanto reali da farla assomigliare ad una dama di altri tempi; grazie a lei, Oliver era stato temprato al galateo in tutte le sue forme, studiandone i contenuti, le norme comportamentali e molto altro ancora. Non si trattava di possedere doni straordinariamente complessi, era l'impegno profuso in quelle lezioni ad avergli permesso, con il passare di anni ed anni, di avere maggiori affinità con diversi interlocutori. Sapeva gestire una conversazione di qualsiasi tipologia, sebbene la fantasia e l'emotività fossero caratteristiche da non trascurare nel suo animo. Sapeva plasmare la voce a seconda delle esigenze, non essere impulsivo in alcuna situazione, sorridere al momento giusto, inclinare il capo nelle direzioni esatte per comunicare messaggi precisi e tanto, tanto e tanto altro ancora. Era l'erede di Adeline Brior, ripeté a se stesso. E, stranamente, per la prima volta in tutta al sua giovanissima esistenza, Oliver si ritrovò ad essere una delle numerose quanto banali vittima dell'ira. Non scoppiò come un fuoco, non sarebbe stata utile - pensò - per evocare un perfetto Iracundia come fatto in altre occasioni, eppure la scintilla si era accesa nel suo petto e gli occhi si erano socchiusi leggermente, il verde naturale acceso di una luce non proprio cordiale. Non come da copione. «Se quello che ti sto dicendo è vero?» disse, un sussurro abbastanza udibile e dal tono sorpreso, estremamente sorpreso. Erano state quelle parole appena pronunciate da Thalia a colpirlo al pari di un pugnale. Per un attimo, in una folle quanto ridicola metafora, Oliver immaginò se stesso come il Fantasma della sua adorata Casata. Nick-Quasi-Senza-Testa aveva spesso ricevuto false accuse di essere un mancato Cavaliere dalla Testa Mozzata, un ordine a quanto pareva molto in voga nel Mondo degli Spiriti dei tempi odierni. Non aveva la testa completamente recisa dal collo, non era del tutto spezzato. E per questo non meritava di essere creduto, perlomeno non da tutti. Si sentì come lui, in effetti, perché si intravide come un ragazzo fermo ad un limbo, pronto a superare il confine dell'essere uno studente come tanti per poi cambiare in un Veggente vero e proprio. Non aveva prove, se non le sue parole e la sua sincerità. Ma i "se" e i "forse" arrivavano, arrivavano ancora. E sarebbero sempre arrivati. Sollevò lo sguardo dal polso stretto dalle mani di Thalia, le sue nuove frasi più affettuose e meno rigide, secondo il punto di vista di Oliver, di poco prima. Quando sostenne nuovamente l'attenzione visiva dell'altra, non poté trattenere uno sbuffo immediato, rapido, piccolo. «Tu mi credi, Miss Moran?»
Non avrebbe accettato spiegazioni, non avrebbe accettato nulla se non una risposta diretta. Prima Thalia aveva detto di sì, di credergli, ma era davvero così? Una conferma era opportuna. Oliver condannava il tradimento con tutto se stesso; certo, non era quello il caso - non lo sarebbe mai stato con Thalia, non aveva dubbi - ma non avrebbe condiviso neanche una forma di reticenza qualsiasi. O tutto o niente. Il grigio non gli era mai piaciuto come sfumatura. Onestà, ecco cosa richiedeva. E fiducia, in ogni contesto. «Ho detto qualcosa. Oppure ho fatto qualcosa. Prima» continuò, veloce. Voleva prima chiarire, sebbene le parole parvero sconnesse, troppo distanti l'una dall'altra per via delle pause e dei punti simili a fastidiosi intervalli.
«Mi sembra di capire che sia successo qualcosa del genere, ma io non lo ricordo. E forse non lo ricorderò mai. Ma la testa, Thalia... la testa scoppia!». Si spostò sulla destra, un solo passo, come se volesse sostenere improvvisamente un peso improvviso. Il tramonto non aveva più lo stesso fascino di prima e adesso i capelli di Thalia, rialzatasi a sua volta, somigliavano a fuoco liquido. Lo avrebbero bruciato e lui non voleva morire. Non voleva...
«Immagini, volti, visioni e poi di nuovo volti, volti, volti. Di sconosciuti, di familiari, perfino di Helen e di Elijia. Volti che vanno e volti che vengono, volti ogni notte. Non dormo, non posso dormire, perché altrimenti gli occhi si spalancano sul vuoto e vedo... vedo cose che non vorrei vedere, cose che non capisco. Il respiro era tornato ad affannarsi, il cuore batteva. L'ira lo stava facendo avvampare. Tuttavia, la Verità era stata scartata, era lì davanti, si sospendeva alla presenza di due amici. E non c'era stato bisogno di snocciolarla con termini realistici e precisi, era arrivata esattamente da sola. «Da Zonko vendono un Filtro Sognoleggero, serve ad inibire la mente per permetterti di dormire. Tre gocce per isolarsi, cinque per dormire del tutto. Io ne prendo sei, Thalia. Ne prendo sei ogni notte, sul tardi dopo essermi stancato di proposito, per dormire e non sognare. Ma non posso ordinarli sempre, non voglio. La testa, Thalia, la testa scoppia.» C'era una nota di tristezza, adesso, nella sua voce. Affetto, forse quello sarebbe stato dono gradito in un momento del genere. Fiducia, sicuramente. Sollevò lo sguardo, gli occhi verdi intrecciati a quelli ancor più chiari dell'altra Irlandese. «Ma non ne parlo, perché non posso. Non ho prove, perché è un dono o una maledizione vagante, mai immobile. Quindi, Miss Moran, lo chiedo di nuovo: tu mi credi?» concluse, la Speranza che albergava in quella frase. Mai domanda fu più difficile da articolare. Mai lo sarebbe stato in passato.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:11
 
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view post Posted on 3/9/2016, 21:40
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Doveva aver assunto un'aria inebetita di fronte alla domanda del Grifondoro, lo sguardo fisso e le palpebre spalancate, le labbra socchiuse come a voler dire qualcosa, ma quel qualcosa non aveva trovato il coraggio di uscire. Aveva l'impressione di non essere stata ascoltata fino in fondo in quella che, a tutti gli effetti, era un'ammissione della propria debolezza. Per anni, per tutta la propria infanzia a dire il vero, aveva creduto che solo la cruda logica potesse spiegare ogni fenomeno o evento fuori dalla norma. Invece, su quella Torre isolata e di fronte ad uno dei più cari amici che potesse vantare, si era dovuta ricredere, rinnegando le proprie convinzioni con un forza d'animo che neppure aveva mai pensato di avere.
«O-Oliver...»
Tentò, era il caso di dirlo, di placare l'animo turbolento del ragazzo, chiaramente sconvolto da quella che per lei era stata solamente una frase retorica, un modo come un altro per avanzare la propria ammissione di colpa e di spalancare le braccia ad una dimensione, quella divinatoria, di cui non aveva mai voluto sapere nulla e di cui dubitava l'esistenza reale.
A nulla servì il richiamo, tanto che il ragazzo si lanciò in una serie di sfoghi legati alla propria salute e al proprio stato in quell'ultimo periodo. Poté dedurre che non solo Oliver avesse iniziato il proprio percorso da Divinatore da un po' di tempo a quella parte, ma che, soprattutto, non aveva mai un momento di pace da quando quel "dono o maledizione" si era impadronito della sua mente.
C'era qualcosa di diverso in lui, ora riusciva a vederlo. Non v'era traccia del giovane giocoso e allegro, che tanta simpatia ed ammirazione le aveva suscitato. Non poté non riflettere su quanti danni quella disciplina non desiderata potesse fare, delle conseguenze a cui avrebbe inevitabilmente portato. A sentirgli nominare Helen ed Elijia, si chiese se loro sapessero di quel "piccolo" dettaglio, ma nessuna risposta le fu rivolta, poiché quella rimase una domanda silenziosa, rinchiusa nella sua mente così come le immagini di volti ed eventi assediavano quella di Oliver.

«Credo... credo che dovrei spiegarti che cosa... perché ho usato quel "se", poco fa.»
Si schiarì la voce, cercando di andargli incontro e provando a trovare le parole giuste per spiegarsi.
«Sono scettica, fortemente scettica. Credo solo a ciò che vedo, a quello che sento... a quello che percepisco. Credo alla tua rabbia, perché la leggo nel tuo sguardo. E percepisco la tua frustrazione, perché ti conosco.»
Ancora una volta gli prese la mano tra le sue, in un chiaro gesto di conforto e, al tempo stesso, di speranza. Nessuna malizia in quel tocco delicato, un gesto che riservava solamente a Desmond nei rari momenti in cui il cugino trovava conforto nelle chiacchiere con la piccola Moran dai capelli rossi.
«E quindi sì, Oliver. Credo ad ogni singola parola. Se non lo facessi, me ne pentirei. E non solo per quanto hai detto...ma...» una breve pausa, nella quale lo sguardo viaggiò prima al pavimento e poi al corridoio, per tornare in seguito ad agganciarsi a quello dell'amico «Ci credo perché sei tu che me lo stai dicendo. Per me la Divinazione non aveva senso di esistere. Credevo fosse una disciplina senza capo né coda. Nulla di vero... nulla di... reale
Così dicendo lasciò andare la sua mano, portando le braccia lungo il corpo.
«Ti è mai capitato di credere strenuamente in qualcosa e quel qualcosa, poi, si è rivelato diverso da come te lo immaginavi? Beh... è quello che è appena successo, Oliver. Se tu non avessi rivolto quella profezia a me, non ci avrei creduto. Perché non potevo.»
Si voltò, dandogli le spalle ed abbracciando con lo sguardo le chiome della Foresta Proibita. Era un paesaggio meraviglioso: l'imbrunire aveva spento il rossore del cielo, mutandolo in una tenue striscia rosa dai contorni sfumati e le chiome degli abeti apparivano come guglie, sempre più scure, di un'antica cattedrale. Mai si sarebbe stancata di quel mondo, nemmeno con le sue mille contraddizioni e leggi perfette.
«Prima non potevo crederci.» ripeté, dopo un'istante di silenzio «Ma ora posso. Anzi, devo.»
Gli occhi azzurri di lei cercarono quelli verdi di Oliver, nella vana speranza di comunicare ben più di semplici parole.


 
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view post Posted on 6/9/2016, 11:08
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Ci credo perché sei tu che me lo stai dicendo.
Restò un attimo interdetto, forse colpito non tanto dalle parole sincere pronunciate dalla Tassorosso, quanto dal suo stile, il suo portamento appena cambiato, il suo comportamento. Oliver Brior aveva studiato per troppo tempo il galateo e le sue numerose norme associate per non accorgersi di aver scalfito lo spirito della ragazza di fronte. Non più rigida, non più ferma, non più immobile, secondo la sua visione del momento. Non c'erano dettagli a confermare la sua strana ipotesi, ma qualcosa era scattato, qualcosa aveva tramutato la bella Irlandese dai capelli fiammeggianti. Non una trasformazione intensa e profonda, era accaduta soltanto in superficie e l'occhio attento del Grifondoro non poté fare a meno di ammirarla.

«Oh, fiducia, cosa accendi
nel cuore che comprendi
Sigillo eterno per i posteri
sei per guerrieri veri e liberi»

Non una profezia, non un tono di voce diverso dal solito. Era sempre Oliver ad aver parlato, lo sguardo intrecciato a quello di Thalia, sua collega, sua amica e ora, come se fosse stata una conferma ovvia, sua confidente senza remora alcuna. L'ultima sillaba di quella strofa che l'Irlandese tanto conosceva lasciò le sue labbra, increspate in un accenno di sorriso. Non era contento, non era un simbolo di pura gioia, quanto di rassegnazione. Sicuramente mostrava un barlume di speranza, che qualcuno, in passato così come nel presente, aveva detto essere la miglior dote del Caposcuola in questione. «Mia madre mi cantava sempre le poesie di Bilou Lulù, così la chiamava lei, ma credo che questa scrittrice spagnola abbia un nome meno ironico». Un altro accenno di un sorriso mesto, triste. Non c'era più rabbia, per fortuna, nelle parole di Oliver. Si lasciò scappare un respiro profondo, indietreggiando di lato come se volesse allontanarsi dal tramonto ormai a picco. Non più rosso fuoco, non più colori accesi: la Notte stava calando, presaga di altri oscuri pensieri. «Ti ringrazio per la tua fiducia, Thalia, per me significa molto. E ti chiedo di non fare parola con nessuno, neanche con Helen, di questo nostro incontro e... e di tutto il resto» precisò, lo sguardo acceso, il tono serio. Helen, la sua amata Helen, avrebbe meritato fiducia a sua volta. E Oliver avrebbe trovato l'esatto momento per rivelarle quella parte segreta e forse preoccupante della sua persona. «Non potevo crederci neanch'io all'inizio, sai. Prima erano solo immagini che poi si concretizzavano, poi visioni più consistenti e poi le voci. E' stato strano quando sono arrivate le voci, riuscivo a sentire i suoni come se fossi presente nella scena che stavo vivendo. Strano, molto...» fece sfumare l'ultimo termine come a trovarne un altro degno di collegamento, ma ripeté semplicemente l'aggettivo di prima: «Strano». Respirò, un singhiozzo che si liberava dal suo cuore. Parve leggermente imbarazzato, ma al contempo comprese di essersi allontanato da un peso molto difficile da sostenere. Inconsciamente, si chiese se non avesse costretto Thalia a prenderne in parte sulle sue spalle, come avrebbe fatto un'amica vera. Fiducia, mai dono sarebbe stato più gradito. «Non stavo studiando né stavo preparando cose per il C.R.E.P.A. Stavo cercando informazioni su dei simboli che ricorrono nei miei sogni, tutte queste pergamene e questi libri riguardano argomenti del genere. Ma prima... prima, Thalia, dimmi cosa ho fatto. Cosa ho detto» concluse, non preoccupandosi delle ultime ripetizioni né del fatto di aver assunto un'espressione titubante. Il corpo fu percosso da un tremito e un attimo dopo, inconsapevolmente e senza programmarlo affatto, si ritrovò a stringere Thalia a sé, come per aggrapparsi ad uno scoglio in una tempesta senza fine. Abbracciò la sua amica, affettuosamente, il cuore che batteva e gli occhi chiusi a trattenere immagini che non avrebbe voluto vedere, a bloccare il Futuro a favore del Presente. Sempre.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:11
 
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Cercare di interpretare il flusso di pensieri di Oliver, attraverso le iridi verdi del ragazzo, non era mai stato tanto complicato. Per la prima volta desiderò ardentemente di essere in grado di leggere la mente altrui, così come si affronta la lettura di un testo dalla forma complessa, ampollosa e solenne, di periodi lunghissimi e ragionamenti difficili da seguire.
La risposta che seguì, una sorta di poesiola a lei sconosciuta, rianimò quell'angolo del Castello sovrastando il silenzio calato come una cappa di oscurità, come se il sopraggiungere della sera avesse impedito loro di pronunciare altre parole e di dar vita a quella rabbia inespressa da parte del Grifondoro. E, per un fugace istante, Thalia ritrovò l'amico di sempre in quel sorriso di circostanza dovuto a chissà quale tentativo di riprendere il discorso da dove questo si era purtroppo interrotto.

*Tua madre ha fantasia da vendere...* si ritrovò a pensare. Avrebbe voluto sorridere, ma il pensiero che Oliver potesse non crederle ancora del tutto, la turbava. La fiducia era un valore fondamentale, non solo per lei e la sua famiglia, ma anche per il Caposcuola. Sapeva bene quanto il ragazzo fosse affezionato alle regole del bon ton, ma era consapevole anche del fatto che la sua amicizia, una volta tradita, non sarebbe stata più riacquisita.
Doveva trattarsi di un cliché tipico per gli Irlandesi e, anche in questo caso, le origini comuni dei due studenti non avrebbero tradito le aspettative. Se per Thalia la fiducia ed il rispetto avevano una valenza fondamentale in qualunque rapporto, anche Oliver doveva sentirsi pervadere dal dubbio di aver riposto la propria fede nella persona sbagliata; se si era sentito offeso per non essere stato creduto all'istante, ora la Tassorosso provava la medesima sensazione di sdegno per non essere stata presa sul serio in quella che era, a tutti gli effetti, un'ammissione di colpa e - in parte - la solenne rinuncia alle proprie convinzioni, saldamente radicate nel suo animo.
E così come lo sdegno era giunto a galla, risalendo dalle viscere del suo stomaco, così se ne andò dopo aver udito le parole del Grifondoro. Accettava la sua versione, dunque? Aveva colto l'importanza delle sue parole?

«Helen non ne saprà nulla, te lo prometto.» rispose, mantenendo un'espressione seria. Rimase in silenzio ad ascoltare la spiegazione dell'amico, le sue frasi sconnesse sui sogni e sulle voci. Anche lei stava vivendo un'esperienza simile: i sogni di foreste, lupi e corvi, ricorrevano ogni notte e la perseguitavano da mesi. Le sorse un dubbio atroce: poteva essere lei, una ragazza tanto razionale, investita del "dono" della Veggenza? Cercò di ricordare se qualcuno, all'interno della sua estesa famiglia possedesse tali capacità, ma la risposta non era certa. Le sembrava strano che nessuno le avesse confidato il timore che vi fosse una minima possibilità di possedere tale abilità, sempre che di abilità e "dono" si potesse parlare. Ne dedusse di essere "fortunata", per così dire, ma si ripromise di indagare e scoprire se vi fosse una tale remota possibilità.
Fu costretta ad interrompere il flusso di preoccupanti pensieri quando Oliver, improvvisamente, l'abbracciò affettuosamente. Era un contatto che il galateo di Adeline non avrebbe mai permesso, ma in quel momento le regole del buon comportamento dell'anziana Brior non interessavano a nessuno. Abbracciò a sua volta l'amico, cercando di infondergli quel senso di protezione di cui aveva fatto parola poco prima. Intendeva davvero essere d'aiuto all'amico, il suo codice di comportamento personale glielo imponeva senza troppa difficoltà.

«Sei sicuro di volerlo sapere?» chiese, poi, in tono sommesso.
La profezia parlava dei Moran, erano fatti di famiglia, che cosa poteva sapere lui oltre a quanto aveva visto e di cui non ricordava assolutamente nulla? Connor avrebbe preferito che le parole del Grifondoro restassero solamente parole, Shyneid avrebbe voluto saperne di più. Lei stessa aveva bisogno di confidarsi con colui che aveva posto in essere tanta e tale agitazione. Tuttavia, la stessa ansia avrebbe colto Oliver all'improvviso, cogliendolo alla sprovvista e infilzandolo come una spada acuminata. Quale conforto poteva esserci nel conoscere il Destino che la sua Voce aveva riservato alla famiglia della sua cara amica? Raccontare, così da condividere il fardello, o tacere, per evitare ulteriori sensi di colpa e fatiche?
Se avesse scelto di ascoltare, la risposta sarebbe stata chiara.

«Hai... hai parlato di una minaccia.» mormorò infine, sciogliendo l'abbraccio e tornando a sedersi sul muricciolo di pietra della balaustra. «L'hai definita... o meglio, la Voce l'ha definita "L'Orma da lontano passato".»
Sospirò, cercando di trovare le parole adatte per proseguire. Quanto poteva essere difficile ammettere che Oliver Brior avesse inconsapevolmente dettato la fine della sua famiglia?
«...hai...dato qualche dettaglio vago sul dove e quando, ma...» si fermò ancora una volta, sospirando nuovamente, passando una mano sul viso improvvisamente dipinto di un'espressione stanca, come se non dormisse da giorni e fosse attraversata da pensieri funesti «...la cosa più spaventosa di tutte...è la sentenza di morte.»
Non esisteva un modo diverso per definire quanto predetto dal Grifondoro e sperò che Oliver cogliesse il significato di quelle parole, misto all'espressione stanca e addolorata sul suo viso. Non voleva continuare quella frase. Non voleva pronunciare la parola "morte" seguita dal nome della propria famiglia.





 
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Forse leggermente a malincuore, ma stranamente non imbarazzato come creduto, Oliver si sciolse dall'abbraccio della ragazza, gli occhi rivolti verso il basso nella speranza di nascondere qualsiasi sentimento salito a galla. Non era il momento di lasciarsi coinvolgere dall'emotività, lui che la conosceva così bene a dispetto del galateo, rigido e spesso pronto a condizionare ogni fibra del suo spirito. Sua madre gli aveva insegnato ad essere sciolto, meno serio del dovuto; gli aveva spiegato come stravolgere la solita routine, come tessere fila su fila di una realtà meravigliosa grazie al potere della fantasia. Inconsciamente, Oliver si chiese quanto valessero i suoi consigli in una situazione del genere. A che pro sfruttare a fervida immaginazione in un contesto come quello in atto? Per descrivere al meglio, nel miglior caso, un potere di difficile controllo e gestione? Scosse il capo, mettendo pace alla sua mente in subbuglio e rispondendo in automatico ad una frase di Thalia. «Oh no, la Voce è la mia. Vorrei che non fosse così, credimi, ma la Voce viene... da me» disse, ma seppe fin dal principio di non essere stato chiaro. E per la prima volta, pensò con rabbia, non fu in grado di esprimersi con precisione. Come poteva far capire che il suo Dono fosse parte integrante del suo animo, anche se al contempo agiva in modi da lui ingestibili? Impossibile, si disse. Impossibile per davvero. Non era tanto importante, però, non quanto il resto del discorso. «Morte?» ripeté, sorpreso. Non aveva mai predetto cose così serie: certo, c'era stata la visione, se così poteva definire quei labili sprazzi di immagini senza capo né coda, di un bambino in serie difficoltà accanto al fiume Lee, nella variopinta cittadella di Cork, ma più di una brutta caduta in acqua, per poi essere recuperato rapidamente dalla madre, non era accaduto altro di eccezionalmente pericoloso. C'era stata un'altra profezia, la stessa per la quale si era rintanato alla Torre di Divinazione, ironia della sorte, tuttavia non era così chiara da permettergli di trarre conclusioni vere e proprie. Estrasse la bacchetta magica dalla tasca interna della felpa che indossava, stringendola tra le dita della mano destra come se fosse un'ancora di salvataggio. Il solo contatto gli infondeva sicurezza e si domandò per quale assurdo motivo non avesse preso prima il legno d'Abete, simbolo di tenacia e di forza senza eguali. La puntò in uno scatto repentino verso tre torce spente sulla parete di fronte, quindi incantò l'una dietro l'altra con la formula magica di suo interesse, senza movimenti né pronunce particolari. «Ardesco» scandì per l'ultima volta, mentre la luce soffusa di leggere fiammelle rendeva visibile la zona nella quale si trovavano l'adepto di Godric e l'allieva di Tosca. Si rivolse di nuovo a Thalia, il tramonto ormai scomparso definitivamente. Il Tempo, partecipe fino ad un attimo prima delle loro preoccupazioni, adesso passava in secondo piano.
«La profezia, Thalia. Devi ricordarla interamente, per favore» disse, il tono veloce, il cuore che batteva nuovamente forte. «Muffliato» enunciò, sferzando l'aria alla sua sinistra, così da rendere inudibile ogni loro parola da quel momento in poi per chiunque si fosse trovato a camminare verso quella zona. Avrebbe potuto farlo prima, certamente, ma la verità era che non vi aveva pensato. Il discorso adesso si complicava e lui aveva intenzione di rivelare un'altra porzione di fiducia alla studentessa accanto. «Non credo che le due cose possano unirsi, vedremo subito, ma lo scorso Giugno c'è stata un'altra... un'altra profezia a Cork, mentre ero sulle rive di un affluente del fiume Lee in un bosco. Stavo cercando di dare un senso a quelle parole, le ricordo tutte. E' strano, lo so, ma ho pensato che se la Veggenza mi riguardi in prima persona, allora riesco a fare mente locale, a ricordare ogni dettaglio. Altrimenti...» fece un segno con la mano, come a voler indicare qualcosa. Si riferiva al fatto di essersi rivolto a Thalia con il Dono, non a lui. Avrebbe capito. «Riesci a scrivere ogni rigo?» indicò piume e pergamene a terra, prendendo posto su un lato freddo del pavimento, vicino tre libri di Simbologia Magica, come recavano i titoli.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:11
 
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Sapere che quella voce "oscura" gli appartenesse, che quelle visioni erano sue e che quelle sentenze non scritte provenivano dalla sua capacità di vedere "oltre", non la fece sentire meglio. Anzi, acuì la sensazione di disagio nell'avergli rivelato che cosa fosse accaduto qualche minuto prima. Rimase in silenzio durante l'accensione delle torce e, mentre Oliver insonorizzava quella porzione della Torre, si sentì metaforicamente in trappola. Certo, nulla le avrebbe impedito di fuggire di fronte all'ammissione che di lì a poco il Grifondoro le avrebbe richiesto, ma la sensazione di essere braccata e costretta a rivelargli quanto accaduto non le piaceva affatto.
Perché voleva sapere? Forse per colmare la lacuna che il suo "dono" gli aveva provocato?

*Ma in fondo, se vuole sapere, diglielo e basta.*
Trascinare con sé colui che aveva dettato le sorti della famiglia da cui proveniva o fingere di aver dimenticato, lasciandolo all'oscuro, in una campana di vetro che lo isolasse dal pericolo? Appurato che la Divinazione esisteva sul serio, le storie di Connor su Divinatori e Veggenti fatti sparire perché a conoscenza di troppe informazioni la colse alla sprovvista, insidiando nel suo cuore una sensazione di paura.
«Sei sicuro di voler sapere?» chiese di nuovo, questa volta timorosa della risposta che avrebbe potuto ricevere.
Oliver sembrava convinto e non solo le chiedeva di ricordare, ma anche di scrivere.
Scrivere una profezia? Non le sembrava il passo giusto.

*Se qualcuno la trovasse, occhi indiscreti, saremmo morti in due.*
«Se la vuoi scrivere per poter pensare ad una soluzione o qualsiasi altra cosa, poi quel foglio deve sparire. Meglio essere chiari da subito.»
Il tono imperioso, che non lasciava spazio a repliche negative da parte dell'amico, fu difficilmente controllabile e dovette ammettere a se stessa di non piacersi troppo in quella versione autoritaria. Purtroppo Connor l'aveva influenzata al punto tale da porla in uno stato di diffidenza permanente verso il mondo intero: persino i ragazzini nella via principale di Diagon Alley le scaturivano quella sensazione fastidiosa, camminando loro accanto nei pomeriggi di lavoro da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch.
«Dammi un momento. Era così lunga...» sussurrò, portando entrambe le mani alla fronte e portando indietro lunghi ciuffi morbidi di capelli vermigli. Con le mani ancora intrecciate ai capelli, iniziò a camminare avanti e indietro, in un incedere nervoso.
Credeva di averla imparata in una sola volta, l'affidabile memoria non l'aveva mai tradita in tutta la sua vita. Se gliel'avessero tolta, si sarebbe sentita perduta, letteralmente.
Oliver le indicò le pergamene sul pavimento e le piume ricaricate abbandonate lì accanto. Portò i capelli su una spalla, la sinistra, ed inginocchiandosi di fronte al materiale di studio del Grifondoro trasse un lungo e profondo respiro. Doveva ricordare ad ogni costo. Scelse una piuma e stringendola nell'incavo tra pollice ed indice, rigirandola appena tra le dita, richiamò alla mente le parole della Voce. Non riusciva a pensare che fosse stato Oliver a parlare, sebbene lui le avesse confermato il contrario.

«Nel luogo dal nome disperso...» mugugnò lentamente, riportando ogni parola ed iniziando a ricordare le posizione esatta di ogni aggettivo, verbo o sostantivo. Un paio di volte si ritrovò a cancellare nervosamente un verso sbagliato, anteposto ad una strofa in maniera sconnessa.
Fu un'operazione lunga, che richiese qualche minuto di completo silenzio, garantito dal Muffliato castato perfettamente da Oliver.
Alla fine, ripose la penna sul pavimento e, col foglio di pergamena tra le mani, rilesse tutto velocemente, ma con attenzione, facendo scorrere le iridi grigio-azzurre su tutta la lunghezza della profezia.
Prima di alzarsi, tese il foglietto - vergato in calligrafia ordinata e tondeggiante - perché Oliver potesse leggerne ogni singola parola. L'aveva riletta almeno cinque volte prima di consegnargliela, come se si trattasse di un compito fondamentale per la sua istruzione magica, come un G.U.F.O. o un M.A.G.O.
Attese in silenzio, scegliendo di rimanere seduta sul pavimento. Ripensò a quanto aveva scritto, riflettendo sul fatto che da quel momento non erano più solo parole pronunciate in uno stato di trance, ma erano reali. Erano scritte. Sarebbero rimaste.

«Imparala a memoria Oliver.» disse, infine, rivolgendogli uno sguardo triste «E poi brucia quel dannato foglietto.»
Si alzò, rassettando l'uniforme e tornando se stessa per un momento. Mai come in quella giornata i due Irlandesi avevano dimostrato di poter essere persone diverse da com'erano sempre state. Osservandolo leggere, avrebbe dovuto dirgli tutto il resto: gli incubi ricorrenti e le figure di quella profezia che ricorrevano di continuo.
«E... non ti ho detto tutto.» mormorò, portandosi alla sua sinistra. Sollevando l'indice sinistro, indicò alcune parole della profezia e riprese a parlare con voce calma e piatta.
«"Corvo e Lupo"... "autunno calante"... non sono elementi nuovi per me. Non del tutto. Era questo il contenuto della lettera che stavo andando a spedire.»
Avrebbe saputo spiegare con precisione la sensazione che le suggeriva l'unione tra quanto aveva udito quel pomeriggio e quanto aveva - e avrebbe - visto nei propri incubi?






 
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Qualcuno avrebbe potuto definire il tutto come uno scherzo. A pensarci bene, non avrebbe avuto chissà quali torti. La situazione era strana, troppo strana per essere spogliata dalla razionalità sì amica verso ogni uomo. Magari per Thalia sarebbe stato più facile, magari lei avrebbe chiuso gli occhi del cuore e aperto quelli della mente, stracciando la realtà fino a trovarne anche un solo legame ancora solido. Oliver non avrebbe potuto dire nulla del genere, non dal punto di vista dell'amica nelle vicinanze; era certo di una cosa, però: lui non aveva mai vantato un ottimo rapporto con la ragione, il suo relazionarsi alla stessa era molto più labile di qualsiasi altra unione. Avrebbe dovuto preoccuparsi, senza dubbio alcuno, ma la rabbia prese il sopravvento insieme ad una sensazione nuova, quasi sconosciuta, che qualcuno più sano di mente di lui avrebbe prontamente delineato come disperazione. Fu un singhiozzo quello che fuoriuscì, inconsapevolmente, dalle labbra di Oliver. Un singhiozzo breve e rumoroso, che spezzò il silenzio che aveva plasmato con il Muffliato castato poco prima. Nessuno li avrebbe sentiti, non se nei dintorni, ma la Natura non poteva essere allontanata e continuava, imperterrita, ad osservare la scena disastrosa come un astante in carne ed ossa. Il tramonto era sparito, il velo della notte già calava. Istante dopo istante, il buio concretizzava il suo quotidiano regno e c'era una sorta di simbologia, per una fantasia fervida come quella dell'Irlandese, che sposava perfettamente l'intera situazione. Scosse il capo, lentamente, come a voler scacciare pensieri non più capace di sopportare. Il foglio che aveva ricevuto tra le mani, dopo che Thalia vi aveva trascritto quanto ascoltato attimi precedenti, adesso sembrava bruciare al contatto con le sue dita tremanti. Avrebbe voluto porre fine a quel turbinio di emozioni sì sconosciute, avrebbe davvero desiderato tornare alle sue ricerche, che quasi parevano deriderlo con i numerosi volumi di pagine e pagine fitte di disegni, simboli e paragrafi di poco conto. «Dannato» ripeté, sollevando lo sguardo dalla carta al volto di Thalia. «L'hai chiamato dannato» aggiunse, rialzando la mano come a voler indicare tacitamente la pergamena stessa. «Mi dispiace, Thalia, mi dispiace così tanto....» concluse, come a sperare di tagliar corto definitivamente, un altro singhiozzo che spezzava le sue parole. Ma non stava piangendo, non avrebbe perso il proprio contegno fino a quel punto. Non aveva, tuttavia, neanche chiarito il senso delle sue frasi appena articolate: come avrebbe potuto, temendo un'altra incomprensione come quella di prima? La frase di Thalia, il suo quasi apparente nervosismo nel riferirsi a quella pergamena come qualcosa di marcio, di pericoloso al di là di ogni misura, sembrava colpire Oliver in prima persona. D'altronde, era lui l'autore di quel testo. Lui, senza che ne avesse memoria. Non avrebbe perdonato se stesso. Era lui ad essere... dannato. «Mi dispiace....» ripeté, la voce che quasi trascinava con sé le sillabe di quell'unica scusante. Le dita si strinsero con forza attorno la carta, stropicciandola fino a farla divenire una pallina nel palmo della sua mano. Osservò per una manciata di secondi quel pugno chiuso, come a chiedersi stupidamente se la forma di prigionia potesse evitare la realizzazione di quella... come avrebbe dovuto chiamarla? Come poteva, ora che la Conoscenza gli era stata rivelata? «Una profezia» disse, quasi a rispondere a se stesso. E le dita si aprirono, l'una dopo l'altra, mentre la punta della bacchetta magica impugnata dall'altra mano, la dominante, già evocava una furiosa scintilla di fuoco con l'Ardesco più banale. Attese che il fuoco coprisse la sfera di carta, le labbra della bocca tirate all'indietro mentre la pelle si scottava. E quando non fu più capace di trattenere il pizzicore, si liberò del misfatto come cenere volante nella notte che imperava alle sue spalle, al di fuori della finestra ad arco. Si affrettò a recuperare tutti i libri, fogli e piume, oltre che tamburo incantato, dal pavimento; li unì tutti in una pila, velocemente, quasi febbrilmente. E mentre si affrettava in quell'ordine senza valore, riprese la parola. «Non la capisco. Non capisco cosa abbia detto. Mi dispiace... Io...» Un librò cadde dalla colonna. E Oliver iniziò daccapo. «Vorrei aiutarti, lo vorrei davvero, Thalia. E' colpa mia, colpa mia!» Le mani tremarono violentemente, lasciando che la boccetta d'inchiostro rovinasse al suolo con un leggero colpetto, frantumandosi. I pantaloni di Oliver, inginocchiatosi, si macchiarono in fretta di nero e così le sue mani. Per fortuna la bacchetta era stata riposta nella tasca interna della felpa. «Dannazione. DANNAZIONE!» Aveva sentito le parole di Thalia, tutte. Ed era palesemente interessato all'ultimo argomento da lei inserito nella conversazione: aveva già legami con quanto sentito dalla profezia? E come? Cosa aveva scritto nella lettera indirizzata alla sua famiglia? Avrebbe voluto aggiungere altro, sicuramente, ma l'ultima imprecazione lo aveva stravolto. Oliver Brior, maestro del galateo, stava effettivamente perdendo il controllo di se stesso. Il corpo fu scosso da invisibili brividi, l'inchiostro che si espandeva sotto i suoi piedi come sangue. Un altro singhiozzo lo colpì. Non una lacrima, mai una lacrima.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:12
 
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Lo sguardo di Oliver Brior non le era mai parso tanto sofferente come in quegli attimi di intenso silenzio. Come spiegargli che quell'aggettivo, "dannato", aveva una valenza differente da quella che lui stesso vi aveva appena attribuito?
Tutta quella situazione era assurda, quasi anacronistica considerando in quanto poco tempo l'Irlandese aveva dovuto fronteggiare una realtà profondamente diversa da quella in cui aveva sempre creduto di vivere. La dannazione per lei era altro, non era quel foglio o le parole ivi riportate. Oh, no. La dannazione era darvi un peso che, per lei, non aveva senso di esistere.
Eppure, quelle parole si accompagnavano alla perfezione ai suoi incubi, alle sue paure. All'esito di un evento - o più d'uno - che ancora doveva verificarsi o che, forse, era già in atto.
"Dannato" significava proprio questo: dannato il momento in cui quelle immagini criptiche si erano affacciate al suo inconscio; dannato il momento in cui Oliver aveva dimostrato un lato di sé che la Tassorosso ignorava; dannata la frazione di secondo in cui aveva scelto di credere.

«Oliver...»
La faceva soffrire vedere l'amico in quello stato di disperazione, come se fosse lui la causa di ogni male. Quasi ne fosse l'artefice consapevole. «Tu non c'entri. D'accordo?»
Il Grifondoro si scusava, chiedeva perdono per quelle parole pronunciate senza consapevolezza alcuna. Vederlo in quello stato, osservarlo mentre il tarlo del senso di colpa lo divorava dall'interno la fece pentire di avergli rivelato ogni parola di quella profezia. E una strana sensazione di rabbia mista a rimorso si fece largo in lei. Avrebbe voluto strappargli dalle mani quel foglio, bruciarlo lei stessa, e far dimenticare ad Oliver quanto accaduto. Bastava la sua memoria a tormentarla, così come i suoi incubi. Non avrebbe potuto fare nulla per farlo sentire meglio, Oliver risolveva tutto per conto proprio - un po' come lei.
E, mentre la pergamena diveniva cenere sparsa nel vento, il suo sguardo seguì Oliver che - in un classica sequenza - aveva ricominciato a radunare i propri averi, libri e boccette d'inchiostro comprese.
Se ne restava lì in piedi, dove lui l'aveva lasciata, ad osservare quel dannato senso di colpa farsi strada in Oliver, nella sua mente già sopraffatta dalla Vista.
La boccetta d'inchiostro s'infranse sul pavimento, spargendo il proprio contenuto sulla pietra. Oliver non riuscì a trattenere un singhiozzo, come già era accaduto pochi istanti prima, e la Tassorosso non poté non iniziare a muovere un passo verso di lui.
Si chinò, portando il proprio viso alla stessa altezza del volto del Grifondoro, posando delicatamente le mani sulle sue spalle e cercando un contatto visivo con lui.

«Oliver...» mormorò lentamente, quasi col timore di disturbare il processo di elaborazione dell'accaduto «Oliver... guardami. Guardami e dimmi che sai di non avere alcuna colpa. Non voglio più sentire quella frase. Non è colpa tua.»
La mano sinistra sulla spalla corrispondente rimase in quella posizione, come a volerlo trattenere, mentre con la destra - facendo attenzione a non tagliarsi - allontanò i pezzetti di vetro della boccetta d'inchiostro frantumata.
«Tu... mi hai fatto un dono. Te ne rendi conto? Quello che io ho sognato, finalmente, ha un senso. Lo capisci?» incalzò «Tu non hai idea di che cosa hai fatto per me questa sera.»
Una breve pausa, nella quale un sorriso s'insinuò in quell'espressione preoccupata.
«Hai dato voce a qualcosa che altrimenti non avrei compreso. E forse sono lontana anni luce dalla risposta vera e propria... ma ora ho qualcosa su cui lavorare. E lo devo solamente a te. Questa, forse, è una colpa?»
Rimase in silenzio, continuando a fissarlo, sperando che cogliesse il significato reale di quelle parole.
La lettera alla sua famiglia avrebbe dovuto attendere un momento più propizio. Forse non sarebbe mai stata spedita. Non con il rischio di essere intercettata dalle mani sbagliate.
Era certa, questa volta, che il cambiamento fosse in atto e, probabilmente, senza Oliver questo non sarebbe mai accaduto.








 
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view post Posted on 14/11/2016, 16:52
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La felpa che indossava in quel momento era la sua preferita. Non una qualsiasi, non una delle tante giacche galanti che sua nonna Adeline non smetteva di acquistare nelle migliori sartorie della Contea di Cork né, ancora, uno degli straordinari smoking che sua zia Brigitte tesseva con ago e bacchetta, mettendoci meno tempo del previsto solo per soddisfare il suo nipote del cuore, solo per "far sorridere il giovane Principino", come spesso ripeteva durante le cene di famiglia e le poche occasioni di incontro comune. Non seppe spiegarsi il motivo di quel particolare pensiero, forse la prima preoccupazione di Oliver in quel momento fu di aver macchiato la felpa che simboleggiava, personalmente, la normalità più assoluta; non soltanto in merito alla Divinazione, al potere della Vista e alle conseguenze o danni che la stessa avrebbe potuto costituire, ma per altro e altro ancora. Quella felpa era un regalo di compleanno da parte di Elijia, in effetti Oliver, che era nato nella seconda settimana di Maggio, l'aveva ricevuta per posta poco tempo prima e l'aveva annoverata tra gli abiti che più avrebbe apprezzato da quel giorno in poi. Affetto? Probabile. Stima per il cugino? Senza dubbio. Ma c'era dell'altro; così come la camicia a quadroni, splendida nella sua semplicità, veniva indossata dal giovane Grifondoro come autentico portafortuna nelle circostanze più impegnative o pericolose, la giacca che portava quel tardo pomeriggio estivo identificava un legame concreto verso la persona più cara della sua vita, verso Elijia Brior, il primo ad essere informato del dono della Veggenza, il primo ad averlo soltanto abbracciato, senza frasi fatte né la necessità di pronunciare scusanti di poco valore. Fu con estrema sorpresa, dunque, che Oliver constatò nel presente di quanto il comportamento di Thalia fosse simile a quello di suo cugino nel passato non chissà quanto lontano. Gli aveva poggiato le mani sulle spalle come se quel leggero contatto potesse trascinarlo verso il basso, ancorandolo alla terra. Non scappare, Oliver. Non scappare, amico mio. Erano frasi come quelle che la memoria, vittima del cuore e di un'emotività piuttosto senza controllo come quella del momento, partoriva l'una dietro l'altra, mentre un ennesimo singhiozzo scuoteva il corpo non più apparentemente forte del Caposcuola. Smise di preoccuparsi del galateo, del suo comportamento e di qualsiasi altra cosa non estremamente importante soltanto allora, quando la vicinanza con Thalia, sua amica, lo inebriò come autentica ed immediata tranquillità. Non lo avrebbe ammesso, ma le parole della Tassorosso erano sfuggenti, Oliver non avrebbe potuto condividerle in toto, di sicuro c'erano dettagli, c'erano azioni, che come Veggente non avrebbe accettato. «Ma a volte è meglio non sapere» sussurrò, ma non fu propriamente sicuro di aver parlato a voce abbastanza udibile. Era un sussurro quello che spuntò dalle sue labbra e mentre la notte calava senza contegno, senza compassione alcuna verso una coppia di amici, entrambi vinti dal Futuro come uniche marionette, il cuore di Oliver sospirò per davvero e fu allora che l'eredità sentimentale di sua madre prese il sopravvento sulla fredda meccanica del protocollo dei Brior, perché il Caposcuola strinse Thalia in un abbraccio, poggiandole il capo sulla spalla. Non chiese permessi, non credeva di averne bisogno. Conosceva da tempo la Tassorosso per capire di che pasta fosse fatta e di sicuro non temeva una sua reazione contrastante. Erano amici, dopotutto. E lo sarebbero stati per sempre, così si augurava l'Irlandese.
*Gli abbracci non si chiedono* ripeteva spesso Elijia. E forse aveva ragione, forse aveva davvero ragione. Durò poco quel contatto, ma i singhiozzi cessarono e Oliver si ritenne pronto per fare luce sulla situazione. Si lasciò cadere a terra, sedendosi sul freddo pavimento accanto alle pile di libri. E invitò anche Thalia a seguire l'esempio, facendole spazio fra le pergamene. Estrasse pigramente la bacchetta magica dalla tasca nella quale l'aveva riposta, quindi tracciò velocemente un cerchio antiorario davanti a sé, portando il gomito del braccio destro, quello dominante, indietro fino alla vita con un altro movimento deciso, mentre i pensieri richiamavano i due fazzoletti di stoffa racchiusi nel primo cassetto del comodino del suo dormitorio. «Indumèntum» sussurrò alla fine, attendendo che l'evocazione facesse il suo corso. Ottenendo con un leggero scoppiettio i due fazzoletti, ne porse uno a Thalia; in superficie su quel tessuto bianco spiccava lo stemma dei Brior, una corona di foglie rampicanti che abbracciava la B della nobile Casata (X); già, l'eleganza prima di tutto. «Se ti sei sporcata di inchiostro» aggiunse, spiegando l'esito di quel comportamento improvviso. Cercò di pulire sbrigativamente la mano e il ginocchio destro dal liquido scuro che era scoppiato dalla boccetta frantumatasi poco prima, ma per il pantalone non fece che peggiorare le cose. Occorreva lavarlo, ci avrebbe pensato in seguito. Allungò la punta della bacchetta in avanti fino a toccare la superficie scura e densa in eccesso sul pavimento, quindi esclamò la formula di suo interesse. «Tergèo» accentuò la seconda -E come da manuale, aspirando così l'inchiostro simile a pece. Soddisfatto, ma non troppo, chiese scusa a Thalia per quella breve pausa. «Allora» riprese, il tono serio. «Come agiamo?» domandò, il plurale che sottintendeva la sua partecipazione nell'aiutare l'amica in qualsiasi azione avesse scelto di compiere in merito alla... Profezia, sì, avrebbe dovuto iniziare a chiamarla con il suo vero nome. «Non so decifrare neanche una frase di... di quella cosa. Al massimo posso tentare dicendo che l'ultimo raggio dell'Autunno calante sia forse uno dei giorni finali di Dicembre, prima del Solstizio d'Inverno o forse lo stesso giorno. Quindi qualsiasi cosa sia... prepariamoci prima di quel periodo». Una pausa, un sospiro. «Tra le ore funeste del cielo che piange... no, che sanguina, ecco. Potrebbe essere il tramonto? Sai, il sole cala a picco, il cielo si infiamma e il rosso sembrerebbe che lo faccia sanguinare. Non ne ho idea». Non era di grande aiuto, lo sapeva. «L'ultima parte temo sia... chiarissima» accennò, alludendo al pericolo per la famiglia Moran. Deglutì, incontrando lo sguardo di Thalia con nuova determinazione. «Corvo e Lupo... dici di aver sognato già qualcosa del genere? Parlami dei sogni, magari tornano utili».


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:12
 
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L'altruismo l'aveva condotta spesso a toccare punti di non ritorno, lasciando che il proprio orgoglio cedesse il passo alla generosità e all'attaccamento verso il prossimo - invece di pensare prima a se stessa - così come aveva contribuito a portarla tra le fila dei Tassorosso, Casa nella quale si rispecchiava sempre più di giorno in giorno.
Aveva appreso di poter dimostrare empatia perfino in casi drammatici - come il breve ed intenso incontro con Lacroix in Biblioteca, quello stesso anno, aveva confermato. Eppure, pur essendo consapevole di tanto e tale trasporto emotivo, spesso nascondeva le proprie emozioni a discapito di una probabile implosione dovuta al mancato sfogo.
Non riusciva ad essere affettuosa come avrebbe desiderato, non era mai riuscita ad esternare i propri affetti attraverso abbracci sinceri e baci affettuosi. Di rado suo padre le strappava un bacio sulla guancia come portafortuna prima di una partita. Persino Danielle sapeva bene quanto poco fosse avvezza alle dimostrazioni d'affetto.
Questo, tuttavia, non escludeva la stretta allo stomaco di fronte ad un individuo sofferente, triste o sconvolto. Descrizione che collimava perfettamente con l'immagine di Oliver Brior. E se da un lato avrebbe desiderato infondere coraggio all'amico, fingendo che le parole di morte appena pronunciate non fossero nient'altro che parole al vento - e non una sentenza probabilmente già scritta - dall'altro aveva compreso nel medesimo istante quanto tutto ciò fosse assolutamente improbabile.
In quel momento, tuttavia, un ulteriore singhiozzo ruppe il silenzio e in meno di un secondo si trovò avvolta dalle braccia del Grifondoro. L'amico non avrebbe certamente notato lo sguardo stupito dell'irlandese, né il respiro mozzato a quel gesto. Per un istante soltanto rimase immobile, indecisa sul da farsi. Piano, come se avesse paura di compiere un movimento sbagliato o troppo audace, lasciò che Oliver appoggiasse completamente il capo sulla propria spalla, abbracciandolo a propria volta. E, com'era successo spesso con le sue sorelle, la sua mano carezzò la schiena del ragazzo in un gesto di conforto più simile alla reazione di una madre che a quella di un'amica e quasi coetanea.
Le parole della Profezia passarono in secondo piano, senza sparire del tutto dalla sua mente. Non era e non sarebbe stato possibile dimenticarle. C'era praticamente il suo nome su quella sentenza. Come avrebbe potuto dimenticare?
I singhiozzi svanirono lentamente e con calma Oliver riacquistò il contegno di cui andava così fiero.
I due si separarono e lo sguardo della Tassorosso cercò ancora una volta quello del Caposcuola. Mai come in quel momento il ragazzo ed amico di sempre era sembrato tanto indifeso. Lo vide sedersi sul pavimento, tra le sue pergamene, gli abiti impregnati di nero inchiostro. Solo in quel momento realizzò di aver sporcato le calze e il palmo della mano destra - così come un paio di dita - della stessa sostanza.
Accettò volentieri uno dei due fazzoletti richiamati da Oliver e, mentre lo utilizzava per togliere l'inchiostro ormai secco, scorse lo stemma dei Brior. E in parallelo, le tornò alla mente il proprio. Non era affatto simile a quello dei Brior: nessuna lettera sanciva l'appartenenza a quello che in un passato era stato chiamato Clan O'Morain.

*Tre stelle dorate in campo nero* pensò.
Nessun cancello all'ingresso della dimora di Cork - costruita su modello del Castello di Malahide - riportava quell'effige, ma l'interno della stessa riportava in svariati punti quel simbolo ricco di fascino e valori che le erano stati inculcati più o meno con la forza.
Ripensava a tutte le volte in cui aveva camminato per i corridoi della grande casa, ignorando i ritratti e soffermandosi di rado a chiacchierare con loro, scorgendo a malapena lo stemma del proprio casato. Non vi aveva mai fatto troppa attenzione, ma la vista della B intrecciata a foglie rampicanti, le fece comprendere quanto avrebbe potuto perdere dopo quel giorno. Il Futuro non sarebbe stato benevolo con lei, non sarebbe stato benevolo con nessun membro della sua famiglia. Il pensiero corse a Fiona, così solare e divertente, ad Iris, sempre pronta a comandare chiunque a bacchetta. I gemelli, Desmond e le sue adorate zie. Sua madre, il suo sorriso e le sue scuse per aver saltato uno o due compleanni della figlia maggiore. Che ne sarebbe stato di suo padre e dei baci rubati prima di una partita o una trasferta?
Non avrebbe pianto, non ci sarebbe riuscita, eppure una profonda tristezza le invase il petto, come un peso troppo grande da sostenere da sola. E, come se avesse profferito quel pensiero ad alta voce, le parole di Oliver raggiunsero il suo udito.

*Come agiamo? Plurale?*
«O-Oliver...» *Come posso dirgli che non è una cosa che lo riguarda senza offenderlo?* «Oliver.»
Tentò di richiamare la sua attenzione dopo aver taciuto di fronte al ragionamento del Grifondoro.
Sembrava aver ripreso il colorito originale, così come la frenesia di passare dal pensiero alle azioni. Ma quanto fossero lontani dalla verità solo lei sembrava capirlo.

«Ti parlerò dei miei sogni, solamente se prometti di non seguirmi in questa impresa. Non fraintendermi...» la sua mano corse a stringere quella dell'amico, seduto accanto a lei, mentre gli occhi cercavano un nuovo contatto con le iridi verdi del Caposcuola «...apprezzo che tu voglia aiutarmi ed è vero. Non so come affrontare tutto questo, ma tu non puoi permetterti il lusso di essere coinvolto più del necessario.»
Avrebbe compreso la sua preoccupazione? Se davvero si fidava di lui, avrebbe avuto più senso tenerlo a sicuro, proteggerlo da chiunque avesse incarnato quella minaccia di morte per la sua famiglia. Lui sapeva, la sua memoria avrebbe parlato per lui, sebbene non comprendesse più di quanto era stato scritto in quel foglietto poco prima.
«Ora sai che cosa accadrà, anche se non lo capisci... non credi che dovresti restare in disparte? Non è una cosa che vi riesce bene, come Grifondoro, ma ti prego...» fece ruotare il corpo verso di lui, stringendogli la mano più di quanto non avesse fatto in precedenza «...restane fuori. Vorrei dirti che mi serve averti accanto... ed è così! ma non in questo modo. Se davvero si parla di morte, io ti voglio sapere vivo e vegeto.»
Il suo tono non avrebbe ammesso repliche di alcun genere e se Oliver ne avesse avuta qualcuna, sperò che lo sguardo serio e fiammeggiante - non più abbattuto o vuoto - completasse il quadro generale della situazione.
Lo avrebbe accettato come compagno in quell'avventura, se solo avesse promesso di restare in disparte, lasciandole fare ciò che meglio le riusciva sin dall'infanzia: cacciarsi nei guai ed uscire dalle situazioni spinose.
Un breve momento di silenzio, nel quale sperò che il Grifondoro non profferisse parola. Lasciò andare la sua mano e si schiarì la voce, tornando a guardare il pavimento di pietra prima di proseguire.

«I miei sogni... sono... ricorrenti. E sono certa non ci siano... Divinatori nella mia famiglia. Connor me lo avrebbe detto. No?» *Ma poi, lui, che cosa può saperne?*
Chiuse le palpebre cercando di tornare in quel bosco con la mente, visualizzando tutti i dettagli di quell'assurda realtà creata dal suo inconscio.
«Cammino in un bosco, anzi... su un sentiero; è autunno... il ciarpame e le foglie sono un po' ovunque e il silenzio... il silenzio è assordante. Non c'è vento, non c'è... vita
A quelle parole rabbrividì, ma si ricompose in fretta con un sospiro veloce.
«Non conosco quel luogo... ma ad un certo punto il verso di un corvo rompe il silenzio e, sollevando lo sguardo, lo vedo appollaiato su un ramo, di una quercia credo, e sotto alle sue zampe le foglie non sono ancora ingiallite del tutto. Alcune sono rosse, come sangue, altre più gialle - poche a dire il vero - ed altre, le più numerose... sono verdi. Ancora. Nonostante tutt'intorno sia...morto
«E poi... voltandomi ancora sulla strada, procedo finché...» il silenzio cadde ancora una volta tra loro, preludio della parte che più la terrorizzava di quell'immagine onirica «Finché non odo il ringhio di un lupo alle mie spalle. E quando il mio sguardo incontra il suo... le sue fauci si spalancano, mi mostra i denti... ringhia... e...»
La Tassorosso portò la mano al petto, mostrandosi spaventata davvero per la prima volta.
«...e mi attacca. A quel punto mi sveglio e non capisco più che cosa accade dopo. E questo accade ogni notte, da un paio di settimane. Forse di più.»
Autunno, lupi e corvi. Un mantra quello che avrebbe faticato a dimenticare. Di certo, dopo quel pomeriggio, non avrebbe potuto scordare nessun dettaglio.
Il suo sguardo incrociò quello del Grifondoro ancora una volta, prima di tornare sui palmi delle mani - impregnati di inchiostro nero come la pece. Sospirò profondamente, come se all'improvviso, il peso di quel segreto se ne fosse volato via, insieme alla cenere del foglio su cui la profezia era stata trascritta.
Sapeva fin troppo bene che fosse impossibile perdere quella zavorra, specie dopo quel giorno. Ora tutto aveva un senso... o quasi.








 
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view post Posted on 15/11/2016, 11:37
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Se pochi attimi prima gli avessero anticipato le parole di Thalia appena pronunciate, Oliver vi avrebbe creduto senza problema alcuno. Non ebbe bisogno di sfruttare quel dono maledetto quale la Veggenza per comprendere quanto stesse per accadere; la ragazza di fronte al suo non più attonito sguardo non era prevedibile, non di sicuro, tuttavia la sua razionalità era un tratto tanto lampante quanto rassicurante, perlomeno in determinati tratti, e Oliver avrebbe messo entrambe le mani sul fuoco perché convintissimo di quella risposta. Doveva restarne fuori. Non sarebbe stato facile, non di certo per una persona come lui, ma tutti i numerosi manuali di Divinazione ed Interpretazione dei Sogni che aveva recuperato dai diversi e polverosi scaffali della Biblioteca di Hogwarts insegnavano ad accettare il corso degli eventi, soprattutto se uno dei due partecipanti agli stessi fosse un autentico Veggente. Quella parola suonava quasi straordinariamente complessa, fuori dall'ordinario, ma non c'erano dubbi circa il fatto che fosse la miglior etichetta per descrivere pienamente il giovane adepto di Godric. Doveva restarne fuori, non soltanto per una precisa volontà espressa da Thalia, quanto per le conseguenze che il suo ruolo avrebbe potuto evocare. Un Divinatore prediceva, annunciava tratti del Futuro impossibile da decifrare altrimenti, non vi interveniva in prima linea, se la visione non incontrasse la sua esistenza concretamente. In poche parole: quella non era la sua storia, i testi legati al mondo delle profezie chiarivano che un interesse esterno ad un percorso impossibile come quello che Thalia avrebbe intrapreso, ecco, fosse plausibile; ma chiarivano altresì che intrufolarsi non più come osservatore nel viaggio non personale avrebbe portato a traguardi sfumati, traguardi forse errati. Non avrebbe complicato ancor più le cose, non lo avrebbe fatto per una sua vera scelta, non per lo sguardo minaccioso di Thalia o la sua richiesta ferrea. Non che l'avesse completamente ignorata, tuttavia Oliver era abituato ad infrangere le regole fin da quando continuava a calciare nella pancia di sua madre, nella speranza che altro latte e miele venisse bevuto da Louise Sanchéz per nutrire dolcemente anche il pargolo nascituro. «Ti sembrerà strano, ma accetto» rispose a quel punto, il tono della voce chiaro e serio, la notte che calava sempre più alle loro spalle e non solo. Per fortuna una torcia nelle vicinanze, la stessa accesa poco prima, illuminava fiocamente la zona nella quale si erano seduti i due studenti. Quanto a lungo fossero rimasti lì, però, sarebbe stato ancora un mistero. «E' la tua storia, la tua ricerca. Non posso intervenire direttamente, ma posso prometterti di aiutarti dall'esterno. Ti consiglierò, ti sarò amico, potrai comunque contare su di me. Ti chiedo soltanto di non escludermi, perché se tu temi che la sentenza di Morte possa coinvolgere anche me, io invece mi sento responsabile di averti aperto nuovi spiragli proprio sulla...» si fermò, alludendo alla profezia, alla morte di nuovo, alla fine di quella litania decantata in precedenza. Sfumò le parole con un rapido movimento della mano, come a voler dissiparle intorno. Infine si lasciò trasportare dai sogni di Thalia, le sue spiegazioni e gli elementi principali che continuavano a ricorrere. Avrebbe voluto trascriverli su una pergamena, ma si fermò per due esatti motivi: in primis, non aveva più inchiostro, avendo distrutto la sua boccetta; avrebbe potuto Appellarne una nuova senza problemi, ma il tempo che avrebbe impiegato per fuggire dalla protezione della Sala Comune Grifondoro fino a raggiungere la Torre di Divinazione nel quale Oliver si trovava, a pensarci bene sarebbe stato un autentico spreco di futile attesa; in secondo luogo, non avrebbe potuto lasciare alcuna traccia di quella conversazione, perché il pericolo che finisse nelle mani sbagliate - come detto dalla stessa Thalia - era troppo alto per poter anche solo tentare. Quando la Tassorosso concluse quasi drammaticamente il suo discorso, un cipiglio riflessivo si delineò sul volto ancor leggermente pallido, ma non come all'inizio di quell'incontro, dell'eccentrico Caposcuola. «Ci sono elementi contrastanti, soprattutto ad indicare vita e morte. Le foglie verdi che si oppongono a quelle autunnali ormai alla fine della loro esistenza, il silenzio che aleggia ovunque prima di essere spezzato dal verso del corvo. E...» - sollevò lo sguardo nuovamente verso Thalia, una lampo di sicurezza che passò improvvisamente nei suoi occhi color della natura - «Corvo e Lupo. Ritornano nella profezia e già prima nei tuoi sogni, non lo trovi strano? Di sicuro c'è un legame. Il Corvo e il Lupo... nella simbologia si legano alla mitologia nordica. Hati era l'eterno lupo che inseguiva la Luna e il Sole, Fenrir è addirittura il dio lupo. Poi ci sono i due corvi messaggeri di Odino, vale a dire Huginn e Mug qualcosa, forse Muginn o Munnin, non ricordo.» Cadde l'attenzione sul volume "Simbologia dell'Estremo Nord" in cima alla pila di libri accantonati poco prima, quello era il volume dove aveva ottenuto le informazioni appena citate; eppure Oliver non era convinto. «Thalia» chiamò, incuriosito. «Sei sicura che il Lupo stia ringhiando proprio a te e non al corvo alle tue spalle? Dici di esserti allontanata, ma forse è un'interpretazione sbagliata, tu sei al centro fra Lupo e Corvo, pensaci. Come se fossi un legame... come...» Ripensò ad una parte precisa della profezia e la ripeté in fretta, a bassa voce. «Come un tempo, Corvo e Lupo si affronteranno di nuovo». Fece schioccare le dita tra di loro. «Miss Moran, devi informarti assolutamente su questi due animali, forse riguardano la tua famiglia con qualche simbologia, qualche stemma, qualsiasi cosa. E' questa la chiave, ne sono sicuro!» Ma lo era poi davvero? Una cosa era certa: il Corvo era emblema della Profezia, poiché accennava anche ad una Figlia. Strano, molto strano.


Edited by Oliver Brior - 30/1/2017, 19:12
 
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view post Posted on 15/11/2016, 13:41
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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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Non era così sciocca da credere che Oliver si sarebbe completamente fatto da parte. Non era nella sua natura.
Se poteva fare qualcosa per migliorare una situazione, apportare il fatidico cambiamento, il rampollo di casa Brior l'avrebbe fatto anche a costo di trascorrere notti insonni alla ricerca della soluzione perfetta.
E così, alla risposta quasi identica a quella che la sua mente aveva figurato per lei nel silenzio dei pochi istanti precedenti, sorrise al Grifondoro. Aveva compreso il nocciolo della questione, aveva capito di rischiare grosso qualora si fosse imbarcato in quell'impresa suicida con lei.

*Magari fosse solamente una gita in Galles, a caccia di draghi, con Desmond ed Elijia.*
Quel ricordo risalente alla cena di Natale di un anno prima sembrava così sciocco ed infantile. Eppure c'era stata così tanta attività e movimento in quella serata, da farle credere nell'impossibilità di un Futuro così funesto. Tempi difficili si sarebbero avvicinati, di lì a poco - o forse mai - ma restava il fatto che avrebbe dovuto assaporare ogni momento, provando a comprendere le sfumature più recondite di qualsiasi avvenimento, anelando per una risposta alle sue tante, troppe, domande.
Non si sorprese nemmeno quando il Grifondoro si gettò a capofitto nell'interpretazione dei suoi sogni: ora più che mai, Oliver Brior era l'unica soluzione a portata di mano, l'unico in grado di sciogliere i nodi di quei sogni - che altro non erano se non incubi.

«Non conosco nulla di mitologia norrena.» ammise infine, scuotendo lentamente il capo e distogliendo lo sguardo dall'amico. Si vergognava di sapere così poco, nonostante la sua prima passione al mondo fosse la lettura. Conosceva a grandi linee la mitologia celtica, quella di cui la sua terra natia era impregnata profondamente, ma del resto del mondo le informazioni a sua disposizione si contavano sulle dita di una mano.
Realizzò in quell'istante quanto fosse importante studiare, quanto più le sarebbe stato possibile al di fuori degli impegni scolastici e del lavoro. Era fondamentale per la sua sopravvivenza e per quella della sua famiglia.
Oliver richiamò la sua attenzione ancora una volta e la Tassorosso non poté negargli la propria attenzione.

«Non posso saperlo per certo...» rispose lentamente «...ma quando mi trovo in quella boscaglia fitta, mi sembra che il lupo sia sempre dietro di me. Che mi segua, in un certo senso. Ma non saprei spiegarti la sensazione che provo. Non l'ho mai provata prima.»
Non era del tutto vero. Un giorno lontano di quasi dieci anni prima, la stessa paura e l'identico smarrimento, l'avevano colta all'improvviso alla vista di quell'uomo dal volto deturpato in casa propria. Suo nonno, Connor, aveva conversato con lui a lungo nel comodo salottino al piano terra adiacente al suo studio. Nessuno aveva avuto il permesso di avvicinarsi a quel luogo, ma quando lo vide, o meglio quando riuscì a scorgere a malapena il profilo dell'individuo lasciato scoperto dal mantello e dal cappuccio calato sul capo, un brivido le percorse la schiena. Lo stesso brivido che nei suoi incubi precedeva l'assalto del lupo.
Perché tanto timore di quella creatura se, poi, non era lei l'obiettivo di quell'attacco?

«Indagherò.» promise «...e ti terrò informato. Non via gufo, sarebbe stupido.»
Clio non ne sarebbe stata felice, il suo scopo era quello di consegnare missive, specie se la padrona intonava il classico verso autoritario che la incitava a non perderlo nel tragitto per la consegna.
«Che io sappia, comunque, il corvo non è un animale legato alla mia famiglia. E il lupo... nemmeno. Insomma...»
E poi il dubbio sorse involontario: e se il Lupo non fosse stato l'animale vero e proprio, ma un'astrazione della sua immaginazione? E se si fosse trattato di un modo della sua mente ancora infantile di idealizzare una maledizione?
«Oliver...» questa volta fu il suo turno di richiamare l'attenzione del Grifondoro «Che cosa sai dei Licantropi?»
Sperò di non dover aggiungere alcuna spiegazione a tale domanda e che l'acume del Caposcuola facesse il resto dei collegamenti.
Nella sua mente, l'immagine dell'uomo incappucciato continuava a tormentarla.









 
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34 replies since 17/6/2016, 19:44   689 views
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