I "perchè..."

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  1. La_scelta
     
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    Mi spiace cara, solo coincidenze!

    Non mi chiamo Matilde, bensì Milly, son separata da 2 anni e mezzo, lavoro e vivo a Roma con i miei due figli, Fabio e Antonella. Ho due sorelle di cui una si chiama Titty.

    Davvero, come è strana la vita...

    Grazie!
     
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  2. La_scelta
     
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    Il cordino - favola

    Quando ero piccolo avevo un grosso problema. Ogni tanto mi faceva male la testa o la gola, e fin qui niente di strano: non era piacevole, ma è una cosa che capita a tutti e, come si dice, mal comune… C’era anche, però, un male che non era affatto comune; anzi ce n’erano molti. Succedeva
    per esempio che mi facessero male i pantaloni, quando la mamma li metteva in lavatrice e quella specie di ventola che c’è lì dentro li sbatteva di qua e di là. Mi faceva male la porta se il vento la chiudeva con gran fracasso, mi faceva male il gatto se qualcuno gli tirava la coda e mi faceva male la sedia quando ci si sedeva su lo zio Pasquale, che pesa più di un quintale e a momenti la sfonda.
    A un cento punto la mamma decide di portarmi dal dottore. Era un signore alto e tutto bianco, con gli occhiali così spessi che gli occhi neanche si vedevano. Mi fece sedere e sdraiare, mi tastò davanti e dietro, mi guardò con certi altri occhiali ancora più spessi e finalmente si schiarì la voce e cominciò a spiegare. Tutti quanti, disse, quando veniamo al mondo ci stacchiamo dal resto delle cose. Alcune cose rimangono nostre, come la testa e la gola, e altre cose – la maggior parte delle cose - no. Il gatto e i pantaloni e la sedia, per esempio, non sono nostri; o meglio sono nostri nel senso che ce li possiamo tenere e se un altro li vuole ce li deve chiedere, ma non nel senso che fanno parte di noi come la testa e la gola. Ecco, questo è quel che capita a tutti, anzi a quasi tutti. Per motivi che nessuno comprende, ogni tanto nasce un bambino che non si stacca dal resto delle cose. Io ero un bambino così: un cordino invisibile, ma molto resistente mi legava al gatto e alla sedia, e anche alla pastasciutta e alla luna. Per farmi diventare come gli altri bisognava tagliare il cordino.
    Detto fatto, il dottore prese uno strumento invisibile, ma molto resistente (che strumento fosse non lo so, perché non l’ho visto) e tagliò il cordino. Da allora va tutto bene. O forse dovrei dire: non va male. Non mi fanno più male i pantaloni quando la mamma li mette in lavatrice, o il gatto quando qualcuno gli tira la coda, o la porta quando il vento la sbatte con gran fracasso, e tutto sommato non mi dispiace di sentir male solo alla testa o alla gola. C’è anche qualcosa che mi dispiace, però. Prima, quando i pantaloni uscivano dalla lavatrice e la mamma li stendeva al sole, sentivo tutto questo caldo che mi scorreva dentro come una tazza di cioccolata d’inverno. Poi la mamma li ritirava nell’armadio fresco e profumato di lavanda, ed era come addormentarsi nell’erba, sotto un albero, dopo un pranzo all’aperto e tante corse dietro al pallone. Per non parlare di quando il gatto si accoccolava sulla sedia: il suo pelo morbido contro il cuoio liscio e vellutato. O quando la mamma sfogliava un libro e senza accorgersene accarezzava le pagine. Quelle carezze non le sento più, da quando se n’è andato il cordino.

    Da “La filosofia in trentadue favole” di Ermanno Bencivenga.
     
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  3. schmit
     
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    ora ho capito...io ho ancora il cordino attaccato...
     
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  4. La_scelta
     
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    Dovremmo consultare anche noi un buon medico (come quello della favola), che possa recidere il cordino che ancora ci lega alle cose.

    Sorriso per te!
     
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  5. frichicchio
     
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    ho letto tutte le favolette che hai postato e le trovo di una semplicita' e profondita' sconvolgente.Grazie di averle postate...non le conoscevo. Credo che anch'io abbia bisogno di tagliare il cordino...
     
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  6. La_scelta
     
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    Grazie a Voi per l'opportunità che mi date.

    Anche nella vita reale è il mio regalo alle persone che stimo.

    :-)
     
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  7. La_scelta
     
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    Il segnalibro - favola

    In questa casa c’è un segnalibro. Anzi non c’è: c’era, una volta c’era. E forse in un certo senso c’è ancora. Insomma è un pasticcio e sarà bene spiegare tutto dal principio.
    In questa casa c’era una linguetta di cuoio marrone, sottile con una bella greca di fili dorati. Papà e mamma e i bimbi, prima di posare il libro che stavano leggendo, gliela infilavano dentro per ricordarsi dove erano arrivati: Avrebbero potuto fare un’orecchia nella pagina, ma in quel modo i libri si rovinano e loro ai libri c’erano affezionati. O avrebbero potuto usare qualcos’altro, che so io?, una vecchia busta, una matita, una stella alpina. Ma a tutti piaceva quella linguetta, forse perché aveva un buon odore di cuoio, forse perché la greca di fili d’oro faceva venire tante idee, come quelle altre greche disegnate dalle stelle di notte, quando non c’è la luna e la luce è spenta. Sta di fatto che tutti la cercavano e se la rubavano e se la nascondevano, e in casa si sentiva sempre dire: - Hai visto il segnalibro? - , - Ho perso il segnalibro -, - Chi mi ha preso il segnalibro? -. Perché la linguetta la chiamavano così: segna-libro.
    Un giorno la linguetta si arrabbiò. - Va bene vivere questa vita così noiosa - sbottò in presenza di tutti - va bene ammuffire e bruciare la mia giovinezza tra le pagine di un libro, ma almeno concedetemi un po’ di rispetto! Che cos’è questo nome “segnalibro”? come se fossi venuta al mondo con l’unico scopo di segnare, di indicare qualcos’altro, qualcosa che non sono io! Come se non avessi una mia identità, come se non potessi essere usata in tanti modi diversi! Io sono una linguetta di cuoio marrone, sottile e molto elegante , con una bella greca di fili d’oro. Potrei servire come correggia per guidare un cavallo imbizzarrito (un cavallo molto piccolo, d’accordo) o come cintura per tenere su dei calzoni alla moda (calzoni in miniatura, certo) e potrei anche essere esposta come opera d’arte. Invece qui sono solo un “segnaqualcosa”, il che non mi distingue da una matita o da una vecchia busta o da una stella alpina. Usatemi come volete ma almeno datemi un nome più decente: “linguetta”, se volete, che almeno è la mia forma. –
    Papà e mamma e i bimbi furono un po’ stupiti da questo sfogo, ma dovettero darle ragione. Non l’avevano fatto apposta, ma il loro comportamento era stato offensivo. Da allora il nome “segnalibro” fu bandito da questa casa.
    Adesso in questa casa c’è una linguetta di cuoio marrone, con su una bella greca di fili dorati. Papà e mamma e i bimbi la usano per segnare le pagine dei libri che stanno leggendo, ma quando la cercano e ne parlano non dicono più le cose di prima: Dicono invece: - Hai visto la linguetta? -, - Ho perso la linguetta-, - Chi mi ha preso la linguetta? –
    Così in questa casa non c’è più un segnalibro. C’era, una volta c’era. E forse in un certo senso c’è ancora. Insomma è un pasticcio, ma adesso sapete com’è andata e potete decidere voi.

    Da “La filosofia in trentadue favole” di Ermanno Bencivenga
     
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  8. bjbo
     
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    CITAZIONE (La_scelta @ 10/11/2006, 14:26)
    Dovremmo consultare anche noi un buon medico (come quello della favola), che possa recidere il cordino che ancora ci lega alle cose.

    Sorriso per te!

    Non c'è bisogno di tagliarlo il cordino, la vita lo lima piano piano e si rompe da solo ... purtroppo. :rolleyes:
     
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  9. schmit
     
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    oh!!!...che peccato...io non voglio...voglio tenermi il mio cordino integro :)
     
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  10. La_scelta
     
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    LA MACCHINAZIONE


    Un giorno, in un mondo lontano, le macchine ordirono una tremenda macchinazione. Il piano era semplice: si trattava di funzionare sempre, senza incidenti, senza guasti, senza pietà. Le lavatrici avrebbero lavato, i calcolatori avrebbero calcolato, i frigoriferi avrebbero refrigerato e le cucine avrebbero cucinato. Era una gran fatica e richiedeva molta concentrazione, ma ne valeva la pena – pensavano le macchine.
    Per un po’, uomini e donne furono felicemente sorpresi. Non succedeva più che la televisione andasse in fumo durante la partita, che il semaforo si spegnesse nel momento di traffico più intenso o che l’accendino facesse cilecca proprio quando era andata via la luce. Dappertutto c’erano sguardi riconoscenti, parole gentili nei confronti delle macchine; qualcuno arrivò a proporre una cerimonia pubblica con discorsi e assegnazione di medaglie al valore. Ma la cerimonia non si fece, perché nel frattempo le cose avevano preso una brutta piega.
    Elettricisti, idraulici, meccanici e orologiai si alzavano la mattina per tempo (la sveglia suonava sempre in orario), si facevano la barba (il rasoio elettrico non mancava un colpo), gustavano un’invitante colazione (con l’infallibile contributo di tostapane e frullatore) e poi si mettevano ad aspettare che qualcuno li chiamasse. Ma le chiamate non arrivavano. Non che il telefono non funzionasse: per quante volte sollevassero la cornetta, il segnale era sempre lì, chiaro, forte e distinto. Era proprio che a nessuno serviva chiamarli: le macchine non si rompevano più. Così elettricisti, idraulici, meccanici e orologiai si sedevano davanti alla televisione (che non andava mai in fumo) e guardavano tutto quel che c’era da guardare, compresa la pubblicità.
    Di pubblicità, comunque, ce n’era sempre meno. Perché far pubblicità a un’automobile nuova se quella vecchia camminava sempre, a un rasoio o a un tostapane se tutti ne hanno uno che non manca un colpo, a una televisione a colori se quella che è in casa non va in fumo?
    Così, mentre le fabbriche di automobili, frullatori e tostapane chiudevano una dopo l’altra, i film venivano trasmessi senza interruzioni e la gente poteva guardarli senza interruzioni, perché tanto alla gente non serviva più.
    C’era ancora qualcuno che pensava di occupare tutto quel tempo scalando una montagna o attraversando l’oceano a nuoto, ma erano in pochi: sulla montagna si poteva arrivare in funicolare, e per attraversare l’oceano c’erano barche piccole e grandi, aviogetti e sottomarini.
    Per farla breve, la macchinazione ebbe successo: uomini e donne divennero inutili e il potere passò alle macchine. Che allora pensarono bene di riposarsi. E’ tanto tempo ormai che in quel mondo lontano non si sente più rumore.

    Da “La filosofia in trentadue favole” di Ermanno Bencivenga
     
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  11. La_scelta
     
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    Questa favola credo sia incentrata sull'utilità del progresso e di conseguenza sulla necessità dell'uomo di procedere di pari passo con lo sviluppo tecnologico (da qui l'utilità della pubblicità).

    Dando il potere esclusivamente alle macchine significava sminuire il valore (intelligenza - professionalità) dell'uomo.

    La pubblicità diventa quindi il modo più immediato di far conoscere a tutti l'avanzamento tecnologico e, visto che nulla si rompeva (in questo caso), il mondo si fermava.


    Ora c'è il rumore, la pubblicità e poche persone, come allora, impegnate a scalare la montagna e a giore delle ricchezze offerte dalla natura.
     
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  12. La_scelta
     
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    LA STESSA FACCIA

    Marco e Luca erano fratelli e avevano la stessa faccia. Gli stessi occhi verdi, grandi e un po’ a mandorla: gli stessi riccioli biondi, lo stesso naso all’insù, le stesse guance paffute. Una bella faccia, certo: un bel biglietto da visita per il mondo. Una faccia così ti mette allegria, specialmente se gli occhi verdi sono accesi da un sorriso, e una fossetta dispettosa incrina la guancia paffuta, e i riccioli sono scomposti dopo una lunga corsa. Con una faccia così, Marco e Luca erano seguiti da sguardi affettuosi dovunque andassero, e gli altri volevano stare con loro, parlargli insieme e qualche volta, un po’ vergognandosene, anche usare una scusa qualsiasi per allungare la mano e sfiorare i riccioli biondi, le guance paffute. Andava tutto bene, insomma, se non fosse stato per un problema: avendo la stessa identica faccia, Marco e Luca non potevano usarla contemporaneamente. Quando la faccia l’aveva Marco, Luca rimaneva senza e viceversa.
    Voi direte che la cosa non è seria, che è meglio avere una bella faccia metà del tempo che averne una brutta sempre. In fondo Marco e Luca avrebbero potuto accontentarsi. Un giorno la faccia poteva portarla uno – Marco, diciamo – e gli altri sarebbero stati con lui e gli avrebbero parlato e avrebbero usato una scusa qualsiasi per sfiorargli i capelli. Luca intanto sarebbe rimasto senza faccia, ma tanto l’avrebbe avuta il giorno dopo e quindi anche se gli altri non gli facevano compagnia (quelli senza faccia non sono molto popolari) era solo questione di tempo: l’indomani le cose sarebbero cambiate e gli amici sarebbero ritornati a fargli festa. Intanto, direte voi, ci sono altre cose che poteva fare, come scrivere una lettera o ascoltare un disco o finire i compiti. Essere popolari è una gran bella cosa, ma ti lascia poco tempo.
    Questo direte voi, che probabilmente non avete una faccia come Marco e Luca, ma andate a raccontarlo a loro. Quando si ha una faccia così è difficile scendere a compromessi. Ci si abitua al fatto che gli altri vogliono stare con te e vederti ridere gli occhi e allungare una mano per toccarti i capelli; così se ti trovi senza faccia e nessuno ti sta intorno e in teoria potresti scrivere una lettera o finire i compiti, non te ne viene affatto voglia e passi il tempo sdraiato sul divano a pensare a quando la faccia l’avevi.
    E’ per questo che Marco e Luca fanno di tutto per non avere la stessa faccia. Uno si mette dei baffi finti e l’altro si tinge i capelli col lucido da scarpe o se li pettina tutti all’indietro con il gel, o si mette un orecchino nel naso, o una spilla da balia. Non sono forse belli come prima, ma belli abbastanza da avere amici tutti i giorni. Non scrivono molte lettere e non fanno molti compiti, ma sono contenti: adesso che non hanno più la stessa faccia, ognuno può tenersi la sua.

    Da "La filosofia in trentadue favole" di Ermanno Bencivenga


    Che Bella!
     
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  13. schmit
     
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    ah ah ah...pensare che oggi fanno di tutto per avere la stessa faccia... :D :P
     
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  14. La_scelta
     
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    PASSA IL TEMPO





    Un tempo il tempo non passava da solo: bisognava farlo passare. Se si lavorava di gran lena, se si correva di qua e di là, il tempo passava in fretta, ma se ci si adagiava su una poltrona frenava di botto e le sue ruote non giravano più.
    Tutto sarebbe andato bene se gli uomini avessero lavorato più o meno lo stesso, ma non era così. La mattina, mentre alcuni saltavano giù dal letto pronti ad affrontare le fatiche quotidiane, altri rimanevano a poltrire sotto le coperte. E al pomeriggio, quando c’erano i piatti da lavare e bisognava pensare alla cena, c’era chi si schiacciava un pisolino e chi si affaccendava premuroso. Così per qualcuno il tempo passava in un baleno e per altri non passava mai; qualcuno invecchiava a vista d’occhio e altri rimanevano sempre bambini.
    Dopo un po’ il Padreterno dovette ammettere che il sistema non funzionava: c’erano figli più vecchi dei padri e fratelli ormai distanti di secoli. Ma il Padreterno non se la prese, sapeva bene che quando si fa una cosa la prima volta c’è sempre qualche piccolo guaio da riparare.
    Così, dopo averci pensato su, decise che da allora in avanti il tempo sarebbe passato sempre uguale per tutti, qualunque cosa facessero, che dormissero o pigliassero pesci.
    Da allora non serve più chiudersi in un cassetto o in un armadio, o trattenere il fiato o rimanere completamente immobili.
    Il tempo passa lo stesso, per conto suo.

    da "La filosofia in trentadue favole" di Ermanno Bencivenga
     
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  15. schmit
     
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    ...è no, il tempo continua a passare in fretta lavorando o tenendo la mente occupata e a non passare mai a chi ozia...
     
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112 replies since 19/10/2006, 17:53   3420 views
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